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GOVERNO. I poveri non aspettano. Cambiamo in fretta la legge elettorale per salvare il Paese

 

letta_saccomanni

Non possiamo permetterci il lusso di un governo che non fa niente. Occorre un governo che governi e di cui  Renzi si prenda la responsabilità 

 

 

Non sono due notizie parallele. O divergenti. La prima riguarda il numero dei poveri in Italia. Il 16 per cento dei nostri concittadini vive (sopravvive) con meno di 700 euro al mese. La statistica conferma l’esperienza di chi abbia gli occhi aperti. La fatica paurosa e senza apparente possibile fine pesa come un macigno sul petto delle famiglie preoccupate per l’avvenire dei figli. Il ceto medio è stritolato e sta scivolando in molte sue frange verso la povertà.

 

La seconda notizia riguarda la legge elettorale. Il tentativo di dare vita a un sistema che consenta la pienezza della democrazia. Dove cioè il popolo possa decidere chi governa, e chi ha questo compito possa farlo davvero. La legge elettorale è il passo necessario, inderogabile, a meno che si preferisca la dittatura dei poteri forti e dello straniero, perché la prima notizia cambi di segno. E tutti stiano meglio.

 

Insomma: la questione politica, la sua soluzione, è condizione per affrontare con efficacia la questione sociale. Il torto della politica è di non essere credibile, a causa di un governo che non fa nulla, dice parole ottimistiche senza macinare il grano, anzi senza che di questo grano si vedano anche solo i germogli. Un governo Letta-Saccomanni è un lusso che non possiamo permetterci, è uno spreco in sé di tempo, che è materia prima rara, quando le acque della disperazione sociale salgono e arrivano alla cintola. Avremmo voluto scrivere “alla gola” ma vediamo che in America qualcosa si è mosso, e in Giappone molto si è mosso, e non è impossibile imitare le scelte di quei governi, peraltro già contenute nei programmi del centrodestra alle ultime elezioni.

Noi vogliamo che il patto Berlusconi-Renzi diventi operativo al più presto. Approdi alla sua promulgazione del Capo dello Stato il prima possibile, per dare certezze prossime di governabilità. Noi siamo fedeli al comandamento laico “Pacta servanda sunt”. Dunque non abbiamo remore: si provveda a superare il doppione del Senato e a cambiare il Titolo V della Costituzione (rapporti tra Stato e autonomie locali), riducendo drasticamente i costi della macchina burocratico-politica e rendendo più snelle le procedure per passare dal dire, al proporre, all’approvare e al fare.

 

Nel frattempo però lasciare al governo Letta è un non senso. Non fare nulla non è un merito ma una tragedia. Non è che a Letta-Alfano manchi la buona volontà (forse) ma non c’è benzina e pure il motore è lesionato. La causa è presto detta: c’è un dualismo pauroso tra guida del governo (Letta) e leadership del partito che ne rappresenta l’azionista principale di maggioranza (Renzi). Il risultato è una pantomima che sarebbe farsesca se non fossimo dinanzi al dramma sociale di cui sopra.

 

Occorre un governo che governi. Il quale sia espressione piena dell’attuale fase di cambiamento delle regole ed insieme della novità politica rappresentata dalla nuova segreteria del partito di maggioranza relativa. Ovvio che tocchi a Renzi prendersene in qualche modo la responsabilità. In questi mesi, affronti con piglio le cose tenendo insieme la questione delle regole e quella del lavoro e delle emergenze sociali. E se è bravo e funziona, avanti pure fino al 2018. Perché no?

 

La condizione per provarci è che intanto non ci siano sbandamenti lungo la strada della riforma elettorale, né ci sia chi buca le gomme mentre si affronta un tornante senza paracarri: si va giù. Per noi i numeri del lotto dell’Italicum o Bastardellum sono a uscita sicura, non mettiamo ipotesi subordinate, perché non si mercanteggia su cifre inderogabili per garantire insieme governabilità e rappresentanza. Il bene comune esige un premio di maggioranza ragionevole; il principio di uguaglianza vuole che i voti abbiano in entrata peso identico e in uscita non siano stravolti.

Il patto Berlusconi-Renzi, che è un nobile compromesso tra i due diritti-doveri, si esprime con 5, 8, 12, 35 + 18. Con eventuale ballottaggio. Modificare quei numeri significa rinunciare al principio di precauzione, sacrosanto anche in democrazia. Esso ha un valore morale nel campo delle soglie di inquinamento per l’acqua, l’aria, il cibo. Guai ai lassismi, ci rimettono i bambini.

 

Il principio di precauzione dev’esserci anche per garantire il funzionamento della democrazia. Non possiamo permetterci che il motore sia ingrippato da polveri sottili di piccoli partiti. Né che si costruisca un sistema fatto apposta per arrivare sicuramente – nella attuale fase politica – a un ballottaggio, per calcoli che non siamo così stupidi da non capire.

 

Avanti dunque sulla strada della legge elettorale così come fissata da quei numeri. Il Pd si sbrighi a radunare le sue membra disperse, e molli il freno a mano. Rinunci cioè a voler trasferire la pratica della definizione dei collegi e delle circoscrizioni elettorali al governo. Per capirci è l’emendamento “campa cavallo”.

 

Il cavallo non campa, muore, se non ci si sbriga. Ricordiamoci il primo dato, quello sui poveri. E acceleriamo, please.

 

 

 

PER APPROFONDIMENTI, CONSULTA: “IL MATTINALE – 28 gennaio 2014”