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Un viaggio verso l’Europa o verso la morte

 

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Lampedusa, la piccola isola a sud del Mediterraneo, nota per le sue incantevoli spiagge bianche, il mare cristallino e la natura incontaminata, oggi altro non è che un cimitero di anime, un centro di accoglienza per migliaia di migranti provenienti dall’Africa subsahariana o dal Corno, un’isola piena di dolore che porta il peso dell’indifferenza. Qui, il finto buonismo, la buona retorica e le false promesse sono percepite e vissute dagli abitanti dell’isola come gigantesche “bolle di sapone”.

Dopo il naufragio del 3 ottobre, avvenuto lungo le coste dell’isola dei Conigli, in cui sono morti più di trecento migranti, i governi europei hanno finalmente capito che devono assumersi le loro responsabilità invece di versare lacrime di coccodrillo e uscirsene con frasi del tipo “Che vergogna” o “Tutto questo si poteva evitare”.

Le frontiere dell’Europa sanguinano già dall’inverno 2010- 2011, periodo della cosiddetta “primavera araba”, caratterizzata da proteste e agitazioni, in parte tuttora in corso nelle regioni del Medio oriente, del vicino Oriente e del Nord Africa. Le ribellioni arabe, o rivoluzioni arabe, hanno provocato la rottura degli equilibri politici consolidati nei tre paesi nord-africani (Tunisia, Egitto e Libia) e hanno prodotto conseguenze rilevanti nel nostro Paese, come le ondate dei migranti nella sponda sud del Mediterraneo.

Le principali nazionalità censite delle persone sbarcate in Italia, a conferma della natura di area di transito del Nord Africa, sono state Bangladesh, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Congo, Eritrea, Gambia, Ghana, Guinea, Liberia, Mali, Niger, Nigeria, Pakistan, Senegal, Somalia e Sudan.

Dall’inizio dell’anno, la guardia costiera italiana ha segnalato più di 74 sbarchi nei dintorni di Siracusa e di Catania, e ha soccorso quasi novemila persone. Ottomila in più rispetto al 2012. Secondo l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Acnur), tra il 1 gennaio e il 30 settembre 2013, 30.000 migranti, provenienti in larga parte dalla Siria, dall’Eritrea e dalla Somalia, sono arrivati in Italia via mare, rischiando la vita su imbarcazioni stracolme e inadeguate (zattere, carrette del mare, pescherecci malmessi). Intere generazioni, tantissimi bambini, alcuni piccolissimi, donne, anziani e persino malati preferiscono affrontare non solo l’orrore della traversata, ma anche le terribili condizioni di clandestinità, alle quali i governi europei hanno deciso di condannarli. Ergo, rischiare di perdere la vita rappresenta per loro l’unica soluzione possibile per fuggire dal caos della guerra, perché le loro case sono state bombardate, perché hanno paura di finire nella lista degli orrori, che va dal furto allo stupro, dalle conseguenze fisiche permanenti alla prostituzione forzata. Sono disposti a tutto pur di arrivare nella “terra promessa”, un’ Europa sognata come rifugio e opportunità per costruirsi una nuova vita. Non ci sono molte altre scelte. Tutto il Nord Africa è scosso dalla primavera araba e i paesi vicini alla Siria sono off limits o ugualmente pericolosi, gli Stati Uniti sono troppo lontani e l’Africa subsahariana un campo minato.

Quel che deve far riflettere è che la maggior parte dei migranti che arrivano clandestinamente su quei barconi sono richiedenti asilo e non delinquenti in cerca di benessere e fortuna, come molti erroneamente credono, vuoi perché ignoranti in materia, vuoi per l’evidente e dilagante informazione/disinformazione mediatica.

A giugno l’Unione europea ha modificato il regolamento di Dublino del 2003, secondo cui, all’arrivo in Europa, un migrante può fare richiesta di asilo solo nel primo paese dell’Unione europea in cui mette piede. Ciò ha reso praticamente impossibile ai migranti provenienti dalle aree di crisi e di guerra di tutto il mondo di entrare legalmente, ad esempio, in territorio tedesco essendo questo circondato da altri paesi dell’Unione. Se sommiamo poi le decine di siriani che chiedono di essere accolti in Francia ricevendo in risposta la repressione della polizia, e i migranti che in Ungheria vengono spesso rinchiusi in centri di detenzione e in alcuni casi picchiati con bastoni, il risultato è un’ Europa affatto solidale nei confronti né dei migranti né dell’Italia, dove invece viene permesso di restare a più di un rifugiato su tre (una proporzione più alta che nella maggior parte dei paesi europei). Non stupisce dunque che il Belpaese è ritenuto da molti migranti un’ancora di salvezza, così come lo sono la Polonia e la Grecia, anch’essi facilmente raggiungibili e per questo considerati un punto di freno per i ceceni, nel primo caso, e per i siriani, iraniani e iracheni, nel secondo. In Italia, inoltre, il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar) offre ai nuovi arrivati una sistemazione, corsi di lingua e assistenza, riuscendo a provvedere, tutttavia, solo a tremila persone rispetto ad un potenziale stimato di 75mila.

Durante la sua vista a Lampedusa, il Ministro dell’Interno e Vicepresidente del Consiglio italiano, Angelino Alfano, ha espresso a chiare lettere il suo dissenso nei confronti del regolamento di Dublino che “chiede troppo ai paesi del Mediterraneo”. Anche Martin Shulz, presidente del Parlamento Europeo, ha invocato una più ampia distribuzione delle responsabilità, definendo la questione dei migranti e dei rifugiati un “problema che riguarda tutti gli Stati dell’Unione europea”. L’Italia non è più in grado di affrontare da sola il grande afflusso degli immigrati clandestini provenienti dall’Africa e dall’Asia. Quel che deve essere metabolizzato è che le nostre frontiere sono anche le frontiere dell’Europa, e le persone che arrivano, non arrivano solo in Italia ma nella comunità europea. Per vent’anni sono state investite grosse somme per i controlli alle frontiere. Molto denaro è stato speso anche per Frontex (l’agenzia europea per la gestione delle frontiere esterne), ma non è servito a fermare gli sbarchi.

Ora, dopo gli ultimi tragici naufragi, pare si stia finalmente passando dalle parole ai fatti con “Mare Nostrum”, un’ operazione militare e umanitaria lanciata dall’Italia per rafforzare il dispositivo di sorveglianza e soccorso nel Canale di Sicilia. Navi anfibie, droni, elicotteri con visori notturni ad infrarossi consentiranno di avere la massima sorveglianza nell’ampio tratto di mare interessato dalle rotte dei migranti. E anche se non ci sono fondi appositi stanziati per la missione, che si finanzierà con i bilanci dei rispettivi ministeri, si guarda con maggiore fiducia al Consiglio europeo dei capi di Governo del prossimo 24 ottobre, nella cui agenda è entrata di prepotenza la questione immigrazione.

 

di Laura Barbuscia