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GOVERNO. Berlusconi, la saggezza di non spegnere la luce, l’amarezza per la fragilità di Renzi. E l’ultima ingiustizia dublinese (che dice Napolitano?)

 
 

BALLARO'

La saggezza di non spegnere la luce, anche se essa si è fatta più fioca. Anzi proprio per questo difenderla. Con l’amarezza di vedere che siamo purtroppo i soli ad essere responsabili fino in fondo. Con la consapevolezza ormai acquisita che, ammessa la buona fede di Renzi, avrebbe dovuto sapere fin dal principio che si assumeva in pieno un patto che ora dimostra di aver sottoscritto  velleitariamente.

Questo è il senso del sì del Presidente Berlusconi  alla proposta affannosa di Renzi di accettare per il bene di tutti un ripiegamento sull’Italichellum.

 

Per noi vale sempre e comunque il principio “pacta sunt servanda”. Renzi ha detto che vorrebbe ma proprio non ci riesce.

 

Da qui il comunicato di Berlusconi che non rappresenta affatto un cedimento, ma la constatazione di un cedimento altrui, non determinato da cattiva volontà, ma da semi-impotenza da parte del segretario del Pd e premier di un governo dove il Pd è magnissima pars (anche se a proposito di “magna” viene più in mente l’Ncd).

Trascriviamo, visto che i quotidiani di oggi fanno prevalere i retroscena sulla sostanza, il comunicato.

 Renzi

“Prendiamo atto con grave disappunto della difficoltà del Presidente del Consiglio di garantire il sostegno della sua maggioranza agli accordi pubblicamente realizzati. Come ulteriore atto di collaborazione nell’interesse del Paese, a un percorso riformatore verso un limpido bipolarismo e un ammodernamento dell’assetto istituzionale, manifestiamo la nostra disponibilità ad una soluzione ragionevole che, nel disegnare la nuova legge elettorale, ne limiti l’efficacia alla sola Camera, accettando lo spirito dell’emendamento 2.3”.

 

Emendamento 2.3. Vuol dire Emendamento D’Attorre. Lo spieghiamo nel dettaglio in una scheda. In due parole: ferma alla Camera la riforma elettorale, il Senato lo lascia in balia del Consultellum, profetizzandone l’autosoppressione.

 

Noi abbiamo espresso non le nostre perplessità, ma la certezza provata che come minimo sia una corbelleria incostituzionale. La quale sarebbe sanata soltanto nel momento in cui alla fine la riforma costituzionale sarà approvata.

 

Insomma: si vivrebbe per un tempo indeterminato nella impossibilità di andare al voto (ciò che va contro qualsiasi principio democratico) salvo consegnarci alla sorte assurda di una Camera dove vince qualcuno, magari con il ballottaggio, ma poi al Senato non vince nessuno, perché con il proporzionale puro nessuno avrà mai la possibilità di avere la fiducia salvo le larghe intese.

 

E allora perché accettiamo? Perché noi siamo seri. Vogliamo davvero la riforma costituzionale, anche se ci ripugna vedere l’autore dell’accordo con noi, Matteo Renzi, sotto schiaffo dei suoi. Faremo di tutto per arrivare a un bipolarismo senza pasticci. Da noi non verrà alcuno scherzetto. Oltretutto, anche se volessimo, con i nostri 67 voti della Camera, che sono circa il 12 per cento dei deputati, non abbiamo la possibilità di sfiduciare Renzi. E allora?

 

Qui viene il punto. La debolezza di Renzi è esattamente derivata dal non essere espressione di un voto popolare. Il suo problema è la doppia maggioranza. Non quella sperimentata nella storia repubblicana dove il governo era di De Gasperi (Dc) e l’Assemblea costituente era guidata da un oppositore (Terracini del Pci).  Il problema è la doppia maggioranza dentro il Partito democratico.

 

Infatti al suo trionfo nelle primarie è corrisposto un dominio del’organismo interno del Pd, la direzione. Ma il gruppo parlamentare del Pd è figlio di un altro voto, a sua volta determinato nella sua leadership dalla sconfitta di Renzi alle primarie precedenti.

 

Possibile che questi garbugli postcomunisti debbano strozzare l’Italia fino a questo punto? Possibile, possibilissimo specie se il Presidente della Repubblica mostra più devozione e ritiene più dirimente per le sorti dell’Italia l’esito di una consultazione privata rispetto al suffragio universale.

La conseguenza è che il prezzo della guerra civile fredda di un partito lo sta pagando l’Italia.

 

 

 

 

N.B. Abbiamo scritto di guerra civile fredda dentro il Pd. Ce n’è un’altra che continua. Ed è quella della magistratura, e in particolare della Procura di Milano, contro la persona di Silvio Berlusconi e i milioni di persone che si riconoscono nella sua leadership politica. Il rifiuto di consentire a Silvio Berlusconi di essere presente a Dublino per il congresso del Partito popolare europeo di cui è vicepresidente, è uno scandalo, che meriterebbe l’intervento del Capo dello Stato.   

 

PER APPROFONDIMENTI, LEGGI IL MATTINALE – 05 MARZO 2014