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Una soluzione federale per l’Ucraina. La differenza sta nei metodi.

 

 

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La crisi ucraina è entrata nel vivo. L’Italia ha l’obbligo di trovare una sua collocazione, ma soprattutto un ruolo. Non è semplice farlo quando il governo in carica non è legittimato dal popolo; negli anni abbiamo ammirato statisti del nostro Paese che sono riusciti ad acquisire peso ed influenza politica, ottenendo un ruolo da protagonisti ai tavoli delle trattative internazionali. La loro forza è stata sempre la consacrazione elettorale, cosa che è mancata ai vari Monti, Letta e Renzi; ne sanno qualcosa i marò.

La controversi a non è semplice, ma soprattutto risulta essere anomala per l’atteggiamento delle parti e per la cronistoria degli eventi.  Agli occhi saltano le motivazioni alla base delle defenestrazione di Yanukovich; la cosa che sorprende è che le rivolte siano iniziate dopo la mancata firma dell’accordo di associazione con l’Ue da parte dell’Ucraina e abbiano poi trovato il definitivo sfogo grazie alle leggi “anti protesta” emanate dal governo. Sorprende altresì l’estrema preparazione dei para militari che hanno condotto la rivolta, segno che l’idea di far cadere Yanukovich facesse parte di un piano pensato da tempo. Dal canto suo l’ex premier ucraino, ha commesso l’errore di sposare in pieno la causa legata a Putin, venendo meno alla volontà di quella parte ucraina di stringere un accordo con l’Ue che avrebbe consentito in virtù del libero scambio una ripresa sostanziale dell’economia. Ingolosito dai 15 mld di dollari promessi dal Cremlino ha dato inoltre la possibilità a quegli oligarchi ucraini appartenenti  a “clan” diversi rispetto a quelli vicino a Yanukovich di alimentare il dissenso intorno al Presidente ucraino democraticamente eletto. Importante quest’ultimo passaggio; già perché la cacciata o la ritirata di Yanukovich rappresenta un duro colpo alla democrazia, soprattutto per la credibilità di tutti quegli attivisti che si erano spesi  per la liberazione di Yulia Tymoshenko prima che Yanukovich rivincesse le elezioni questa volta in maniera pulita e soprattutto schiacciante.

La Tymoshenko ieri ha dichiarato alla Cnn che se scoppierà la guerra ci saranno dei cambiamenti in tutto il mondo; come non essere d’accordo con tale affermazione. Però c’è un aspetto da sottolineare ovvero la differenza nell’approccio alla controversia emersa nelle ultime settimane. Da un lato Putin, che forte del dover difendere la minoranza russofona, ma cosciente di non voler perdere il suo controllo sull’Ucraina e soprattutto sulla Crimea, adotta dei metodi novecenteschi: “se penso di aver ragione ti invado”. La nota positiva è che l’occupazione della Crimea e del suo Parlamento non abbia visto partire neanche un colpo di mortaio e questo descrive una situazione ben diversa: le minoranze sono ben ripartite territorialmente e quindi una divisione federale dell’Ucraina al momento risulterebbe essere la soluzione più plausibile.

Dall’altro lato c’è l’Europa, quindi l’Italia, che adottando in pieno la dottrina dell’equivicinanza cerca di assumere un ruolo da mediatrice nonostante non abbia digerito “ la presa” della Crimea da parte di Putin. La dimostrazione è il crollo in borsa il giorno successivo allo spostamento delle truppe, con il rublo che è precipitato ai minimi storici nel confronto euro/dollaro. Il governo Renzi si è allineato pienamente alla linea della Germania affermando la propria ostilità rispetto al tentativo di risolvere la crisi per via militare, cercando quindi di spostare la controversia in ambito prettamente istituzionale con l’auspicio di affidare la transizione a due organismi neutrali come Osce e FMI. D’altronde la stessa Europa non può permettersi politicamente di perdere l’Ucraina, gasdotti e TAV fanno parte del gioco. Aspettiamo Obama.

 

Stefano Peschiaroli

TW: @StePeschiaroli