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ECONOMIA. Indovinello. Come troverà Renzi 10 miliardi per abbassare le tasse? Guai se li porta via ai risparmi delle famiglie

 

 rENZI LAVAGNA

Il vero nodo politico del prossimo Consiglio dei ministri di mercoledì non sarà il derby tra IRAP ed Irpef. Vale a dire come ripartire gli ipotetici 10 miliardi favorendo i lavoratori o le imprese, ma dove trovare i soldi che servono.

 

E’ il vecchio dilemma che da sempre angoscia gli economisti, qualsiasi sia il rito professato.

 

Da un lato bisogni, per definizione illimitati; dall’altro risorse scarse. Tanto più scarse se, com’è avvenuto in tutti questi anni, l’economia non cresce ed il suo motore gira all’incontrario.

 

Si comprendono pertanto i rumors che filtrano da Palazzo Chigi. Forse mercoledì non si potrà decidere, rinviando il tutto in attesa di sciogliere un nodo che più intrigato non si può.

Perché il tema è così importante? L’effetto positivo del taglio del cuneo fiscale, per essere tale e ridare un pizzico di speranza, deve essere netto.

Se, invece, con la mano destra metto qualcosa in busta paga o nel paniere delle aziende; mentre con la mano sinistra aumento il prelievo fiscale su altre voci, l’effetto macro-economico è nullo.

Si può eccepire, con un ragionamento più sofisticato, che la propensione a spendere non è uniforme per tutti i livelli di reddito.

Che chi guadagna meno e si è finora privato anche del necessario è più portato a colmare il vuoto che si è prodotto nei mesi precedenti.

 

Ma questa considerazione non risolve l’interrogativo di fondo, a causa della dimensione dell’intervento che si rende necessario. I 10 miliardi promessi non si trovano facilmente.

Si è detto: tassiamo le rendite finanziarie. In apparenza l’operazione meno costosa dal punto di vista del consenso sociale. La misura colpirebbe solo i ceti più abbienti. Quindi una decisione all’insegna del politically correct.

 

Ci sono i margini? Secondo gli ultimi dati, pubblicati dal MEF, le imposte sulle rendite finanziarie (interessi bancari ed obbligazioni) nel 2013 hanno prodotto entrate per 10,745 miliardi. Per ottenere le risorse necessarie, cosa improbabile, il prelievo dovrebbe semplicemente raddoppiare.

Nel calcolo non sono stati inclusi i titoli di Stato, che producono interessi per 85-90 miliardi. Per ottenere 10 miliardi aggiuntivi servirebbe una sovrattassa del 10 per cento, dal 12,5 per cento attuale al 22,5 per cento.

 

Chi ragiona in questo modo non tiene conto dell’enorme dimensione del debito pubblico. Se la massa di interessi pagati si rapporta a questa grandezza, le conclusioni sono addirittura opposte. Oggi il rendimento netto di un BOT, con scadenza annuale, è pari a poco più dello 0,5 per cento. Con un’inflazione dell’1,2 per cento, il risparmiatore cede allo Stato italiano un valore pari allo 0,7 per cento, del suo investimento. Aumentando il prelievo fiscale questa perdita è destinata ad aumentare ulteriormente.

Va bene che le pecore vanno tosate, ma non stiamo esagerando?

PER APPROFONDIMENTI, LEGGI IL MATTINALE – 10/04/2014