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Immigrazione, si guardi al caso australiano per fronteggiare il fenomeno

 

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Quella dell’immigrazione clandestina è una questione estremamente delicata.

La recente tragedia di Lampedusa ci ha ricordato, in maniera piuttosto drammatica, la vastità del fenomeno: migliaia di persone fuggono dai loro paesi di origine nella speranza di costruirsi in Italia un futuro migliore. Una vita degna di questo nome. Troppo spesso, non c’è corrispondenza tra sogno e realtà, e frequentemente molti migranti sono costretti a delinquere per poter sopravvivere.

La politica è tornata ad interrogarsi circa le modalità di gestione di tale fenomeno. Che, come è noto, non può essere affrontato in maniera completa senza l’aiuto dell’Unione Europea. Cioè di un organismo sovranazionale cui è demandato il compito di intervenire soprattutto quando ad essere messa a repentaglio è la vita umana, cosa che capita nelle sfortunate e tragiche rotte via mare di migranti.

Ma l’Italia non è l’unico paese ad affrontare una simile emergenza: il problema è così vasto che travalica i confini della Sicilia.

Come è stato infatti documentato dall’Ispi, l’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, anche l’Australia ha la sua Lampedusa. Christmas Island è un lembo di terra sotto giurisdizione australiana più vicina all’Indonesia; la sua posizione geografica l’ha resa nell’ultimo decennio terra di approdo di un numero crescente di migranti che lasciano il loro paese per chiedere asilo presso il continente nuovissimo, dalle risorse sconfinate.

“In Australia – spiega un dossier dell’Ispi – le politiche d’immigrazione rappresentano uno dei punti più dibattuti in ogni programma politico e la valutazione della quantità e qualità delle persone cui aprire i confini corrisponde a una precisa scelta di politica economica. Il numero di visti concessi viene valutato di anno in anno in base ai trend economici. Nell’autunno 2010 è stata persino varata una riforma finalizzata a favorire la selezione degli immigrati maggiormente qualificati e con i più alti livelli d’istruzione, in modo che possano contribuire allo sviluppo economico australiano di lungo periodo. Oggi i lavoratori qualificati rappresentano il 68% dell’immigrazione totale verso l’Australia”. E ancora: “Le basi della linea politica d’intransigenza praticata dall’Australia per contrastare il fenomeno sono state gettate già nel 1992, con l’introduzione della procedura di detenzione obbligatoria e dell’elaborazione delle pratiche di richiesta d’asilo in mare aperto”.

Tutto non può che farci riflettere: strumentalizzare il fenomeno della clandestinità a soli fini politici provoca ulteriori danni; chi oggi agita lo spauracchio della legge Bossi – Fini dovrebbe gettare uno sguardo al caso australiano. Perché la vera accoglienza è tale solo se regolamentata, gestita in modo serio e strutturato.

Idee preconcette o vetusti meccanismi non servono a molto. Anzi, a nulla.

 

Angelica Stramazzi

@AngieStramazzi