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COTTARELLI. Qualcuno lo fermi. Combina guai e fa paura alla gente

 

Chigi - spending review

Più si parla di spending review e meno tornano i conti. Non solo dal punto di vista aritmetico, ma soprattutto da quello istituzionale e politico. Nell’ordinamento giuridico italiano il Commissario straordinario per la spesa“mister forbice” come è stato subito ribattezzato – è un pesce strano. Egli agisce nell’ambito del Comitato interministeriale per il riordino e la razionalizzazione della spesa presieduto dal Presidente del Consiglio. Ha un potere di proposta e di indirizzo, come recita l’art. 49 bis del decreto legge 69 del 2013. Formulazione abbastanza vaga che va precisata.

 

Potere di proposta deve intendersi nella fase ascendente: nel sottoporre cioè al Comitato, che è organo politico, le sue riflessioni. Il potere d’indirizzo attiene, invece, alla fase discendente. Si manifesta cioè nel momento in cui le decisioni sono state assunte dall’unico Organo – il Consiglio dei Ministri – che è legittimato a farlo. In questo caso il suo compito è sovraintendere alla relativa attuazione.

 

Confondere i due piani può determinare più di un problema e qualche equivoco. Prendiamo ad esempio l’ipotesi di tagliare le pensioni per un importo pari ad 1,4 nel 2014. Può essere questa una proposta “tecnica” da diffondere prima che il Consiglio dei ministri l’abbia non solo avallata, ma tradotta in uno strumento legislativo? Operare in questo modo non significa forse snaturare le funzioni che la nostra Costituzione assegna all’Esecutivo?

 

Cottarelli, per espressa disposizione legislativa, è autorizzato “se richiesto” a svolgere audizioni presso le competenti commissioni parlamentari.

Ma può anticipare ipotesi che non sono state preventivamente vagliate dall’Organo politico, con cui è chiamato a rapportarsi? Quindi prudenza. Anche perché le cose che dice non sono senza conseguenza. Possono generare, come sta avvenendo, allarme sociale con effetti deleteri per quel po’ di ripresa che si intravede all’orizzonte.

 

Sempre per restare in tema di pensioni, il taglio ipotizzato corrisponde a circa il 25 per cento del totale ipotizzato. Per avere un parametro di confronto, si consideri che i tagli proposti per la spesa locale, che rappresenta circa il 60 per cento di quella complessiva, al netto della previdenza degli interessi e dei trasferimenti, è pari solo allo 0,4 per cento.

 

Va bene che la retorica del cosiddetto “partito dei sindaci” – Massimo D’Alema in passato aveva parlato del “partito dei cacicchi” – ha fatto scuola. Ma la sproporzione è più che evidente.

 

Il ragionamento, quindi, non quadra. Non quadra da un punto di vista politico, ma non è nemmeno coerente con i numeri e le esperienze internazionali. Nell’ultima “legge di stabilità” è stato previsto un contributo di solidarietà a carico delle pensioni più alte, a partire da 90 mila euro annue lorde. Porterà l’aliquota marginale dell’imposta al 70 per cento del reddito.

 

In Francia la proposta della cosiddetta supertassa, di pari importo (75 per cento), sulle grandi fortune parte da redditi superiori ad 1 milione di euro. E nonostante ciò, ha determinato polemiche a non finire. Ma non solo. Il contributo di solidarietà italiano darà un gettito stimato di poco più di 50 milioni all’anno.

 

Per avere entrate per 1,4 miliardi, secondo la proposta Cottarelli, si dovranno colpire le pensioni medie, indipendentemente dall’entità dei contributi versati e gli anni di contribuzione.

 

Per sostenere le sue tesi, il super Commissario indica una serie di confronti internazionali. Sostiene ad esempio che in Italia la “percentuale di pensioni relativamente elevate” è “più alta che in Germania” salvo poi dover ammettere che in quel Paese la “previdenza integrativa è più sviluppata” e quindi non è a carico dei conti pubblici. Ma i suoi dati contrastano con le elaborazioni della Banca d’Italia: di cui lo stesso Cottarelli è stato autorevole dirigente.

 

Nel 2012 – Supplemento al Bollettino statistico n. 32 del luglio 2013 – la spesa previdenziale italiana, rispetto a quella tedesca, è risultata di circa 3,6 punti di PIL in più. Sennonché, nello stesso anno la pressione fiscale italiana è risultata maggiore di 3,4 punti di PIL, compensando la maggiore spesa per le pensioni.

 

Ma quel differenziale è solo figlio del maggior tiraggio delle pensioni o non incorpora altre voci? Qui si torna ad una polemica antica, più volte sviluppata dalle organizzazioni sindacali. Circa 50 miliardi all’anno di spesa pensionistica – pari a circa 3 punti di PIL – altro non è che l’onere dell’assistenza, impropriamente fatto ricadere sui bilanci dell’INPS. Le voci sono state più volte individuate: integrazioni delle pensioni minime, invalidità, pensioni sociali e poste minori. Oneri che andrebbero considerati a parte e finanziati con imposte invece di fare un unico calderone in cui si sommano tasse e contributi. Se si opera questa distinzione, si può vedere come la spesa previdenziale italiana effettiva non si discosti poi molto dai grandi fratelli tedeschi. Quindi doppia attenzione.

 

Tanto più che nel programma di Angela Merkel si vuole addirittura abbassare l’età del pensionamento: ipotesi che ha incontrato i duri rimbrotti della Bundesbank. Una volta si diceva che le guerre erano troppo importanti per farle condurre dai generali. Fermiamo il soldato Cottarelli, prima che sia troppo tardi.

 

 

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