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GOVERNO. Tutti i bluff di Renzi

 

Renzi
L’uso propagandistico del vuoto. Ma ora Fonzie ha paura

 

Renzi è un bluff politico.Una bolla mediatica, nel suo piccolo, come quella che ha mandato in malora il mondo nel 2008. Prima si riesce a sgonfiare questa mastodontica mongolfiera, prima l’Italia eviterà il rischio di affidare se stessa all’aria calda delle sue parole tirate come fuochi d’artificio per distrarre dalle cose.

 

Nell’articolo seguente sveliamo il bluff totale delle sue invenzioni populistiche in economia e sul piano fiscale.

 

Prima ha promesso di tagliare l’Irpef ai salari bassi nella busta paga di aprile, no di maggio. Ora scopre – come avevamo denunciato subito – che è impossibile. Ma siccome ha il terrore di perdere le elezioni europee (25 maggio) che fa? Adesso è arrivato a inventarsi, sul quotidiano che lo tiene al guinzaglio, cioè “Repubblica”, il bonus.

 

Non ti taglio l’Irpef, perché non me lo fanno fare i cattivoni, e allora bonus. Una mancia, un gratta e vinci una tantum. Una specie di voto di scambio. Fuffa paurosa.

 

Renzi cerca di dribblare la realtà con le finte, ma non becca palla. Non tira, non ha il senso della concretezza. Cerca di far durare l’intervista prepartita all’infinito, predilige la vittoria a tavolino.

 

ESEMPIO 1 – Ha preso la testa del governo eliminando Letta non con  un voto popolare (realtà), ma con il gioco delle promesse verbali e delle garanzie bugiarde, di cui la più nota è la menzogna programmatica #Enricostaisereno. Per giustificarsi ha spiegato che doveva farlo, c’erano provvedimenti necessari e urgentissimi, #lasvoltabuona. Perché lui sì e anche senza voto può riuscire? Perché Renzi è Renzi, parbleu. Dice le sue formule magiche, ma non accade niente. In Europa, non succede nulla. La svolta non c’è. Si impantana. E allora?

 

ESEMPIO 2 – E allora: la colpa è del mondo malvagio. Dinanzi alla inconsistenza procedurale dei cambiamenti annunciati, alla impossibilità tecnica di svuotare il mare con un secchiello, cosa fa? Dà una definizione di tutto quello che non è Renzi: “palude”. La palude sono la concretezza dei problemi che da parti opposte gli gettano in faccia Squinzi e Camusso. Il sottosegretario Graziano Delrio in una intervista denuncia anch’egli la “palude della burocrazia” che gli impedisce di lavorare.

 

Insomma. Tutto è palude, tutto è sciattume, tranne la loro intemerata purezza da Cavalieri del Sacro Graal. Si noti come Renzi vede se stesso. Lui è letteralmente “il torrente di acque impetuose” (sul serio).  Poi prendevano in giro il Trota Bossi che si limitava a volerci guizzare.

 

Sono passati appena 15 giorni, e già Renzi e i suoi  ammettono il fiasco, ma cercano di uscirne con la lingua, con il populismo deleterio di indicare il nemico degli italiani nei capri espiatori di sempre.

 

Cioè la euroburocrazia, la romanoburocrazia, i privilegi dei manager, le autoblu che funzionano sempre eccetera. E chi non lo sa?

 

Il problema è individuare strumenti per affermare il bene del Paese con atti, riforme, tagli veri e non disciolti in narrazioni puerili.

 

Tanto più che il vero alligatore nella palude del potere finora ha dimostrato di essere lui stesso. L’unica cosa pratica è quella, per ora.

Rivela l’inconsistenza della figura politica del neo-premier, un’analisi  chimica delle sue parole.

 

È la fiera della banalità, l’esposizione universale del luogo comune, potrebbe aprirci un padiglione all’Expo del 2015. Si noti, replica a qualsiasi obiezione con la formula “Ce ne faremo una ragione”. Non entra nel merito. Qualunque cosa gli rimproveri un avversario politico, o persino chi innocentemente gli muova un’obiezione, viene accolto con questa frasetta. Gli suggeriremmo altre formule per variare.

Tipo: “Sento la Camusso, e peggio mi sento”. Ancora: “Squinzi è contrario? Reggeremo il colpo”.

Basta così. La sua maionese linguistica è già rancida. La sua fascinazione è durata come una fata morgana sul lungomare.

 

Piace un istante ma sparisce in fretta. Così sta accadendo al nostro neo-premier, che ha un problema grande come una casa: si è innamorato di se stesso, e crede davvero alla sua figura di Principe Azzurro dell’Italia capace di risollevarla con un bacio e due paroline.

Figuriamoci.

Ora è preso da una certa paura. Non siamo propensi a stabilire dal colore del volto il livello di paura, ma ieri in tivù tirava verso il blu. Fonzie ha paura. Il suo bluff si sta rivelando.

 

Il prossimo bluff dopo quello degli 80 euro per tutti entro maggio, sarà quello delle riforme costituzionali in un battibaleno. Il Senato? Un-due-tre-e-più-non-c’è. Titolo-Quinto-e-già-ti-ho-estinto. Non ci riuscirà e darà la colpa alla palude. Uffa.

Come diceva Carosello con uno degli slogan tanto amati da Renzi? “Cala Trinchetto”.

 

 Renzi

Le balle in economia si svelano

 

 

A volte capita che un viaggio di nozze non dia i risultati sperati.

 

 

Si torna alla normalità e si raccolgono i cocci. Per Matteo Renzi, forse, non siamo giunti a questo punto, ma è certo che la luna di miele mostra evidenti segni di logoramento. Non sono solo le baruffe con Squinzi e la Camusso a suonare l’allarme.

 

E’ il suo rapporto con la grande stampa che non è più quello dei primi giorni. Quella grande bolla di promesse, di interventi continuamente evocati, quell’escalation di chiacchiere dagli incerti fondamenti, sta mostrando la corda. Ed ora, che il re è sempre più nudo, i nodi vengono al pettine.

 

Come finanzierà le sue promesse? Dove prenderà i soldi necessari, visto che la strada di un finanziamento in deficit, strozzata dai vincoli internazionali e costituzionali, si dimostra sempre meno praticabile?

Di fronte a queste difficoltà la ritirata è stata annunciata da la Repubblica. Messa da parte ogni velleità d’intervento strutturale – se ne riparlerà (forse) con la prossima legge di stabilità – si è passati alla semplice ipotesi della corresponsione di un “bonus”.

 

Una piccola mancia che dovrebbe calamitare il necessario consenso elettorale, in vista delle prossime elezioni europee.

Pur ridimensionato, tuttavia, il progetto annunciato non risolve le criticità di base. Per soddisfare quest’esigenza servono pur sempre sei miliardi e mezzo.

L’idea è, allora, quella di “taroccare” il quadro macro-economico. Immaginare, cioè, che le misure annunciate possano accrescere il tasso di sviluppo e quindi mettere fieno in cascina.

 

Vale a dire aumentare le risorse finanziarie a disposizione. Così – dice sempre la Repubblica – si troverebbero circa 3 miliardi, che sono pur sempre la metà di quanto è necessario.

 

Sennonché, anche in questo modo, i conti non sembrano tornare.

Le misure di rilancio dell’economia, a loro volta, implicano un costo aggiuntivo: solo per la riduzione del costo dell’energia e l’edilizia scolastica ci vogliono circa 5 miliardi.

C’è poi l’impegno assunto nei confronti del pagamento dei debiti della PA – 68 miliardi – che comporterà un forte aumento del debito pubblico, senza tener conto del maggior deficit per la parte in conto capitale. Il tutto condito da un aumento della tassazione sul risparmio – dal 20 al 26 per cento – che non fa fare certo salti di gioia ai possibili finanziatori.

 

Se non è una missione impossibile, poco ci manca. Comunque auguri.

Da parte nostra continueremo a vigilare: pronti a discutere di cose serie. Per la propaganda non siamo disponibili.

 

 rENZI LAVAGNA

La riforma costituzionale Pacta e fagioli

 

 

Abbiamo creduto al Patto del 18 gennaio.

 

E non smetteremo di metterci tutto il nostro impegno perché quanto fissato quel giorno arrivi in porto.

 

Non creda però Renzi di giocare ai due forni, prolungando indefinitamente la partita della legge elettorale e delle riforme istituzionali, convinto così di evitare possibilità di cadute e crisi sulle misure per l’economia e il lavoro, su quelle fiscali e sulla “riforma delle riforme” (Berlusconi la definisce in questo modo) che è quella della giustizia.

 

Vediamo il bluff. Prima ha dimezzato l’Italicum, amputandolo della legge elettorale per il Senato, e così trasformandolo in Italichellum.

 

E Berlusconi ha detto sì per senso di responsabilità.

 

Ora è al Senato e si annunciano pressioni per modifiche sulle preferenze, sulle soglie in basso e in alto, sulle quote di genere per i capilista. Risultato, avevamo preso insieme un pesce enorme, che nessuno aveva tirato in barca, la legge elettorale, il 18 gennaio.

 

Alla fine a riva arriverà a quanto pare una gigantesca lisca, come il marlin di Santiago ne “Il Vecchio e il Mare” di Hemingway… Così non va.

 

Tanto più che dopo aver depositato una riforma del Senato, che Francesco Rutelli ha definito ironicamente “geniale” cioè una boiata, ora persino parte dei renziani s’è accorta della sua inconsistenza.

 

Il fatto è che Renzi non ha un’idea sull’utilità del medesimo.

 

Lo scopo del Senato è per il premier che non costi nulla e non conti niente. Tutto lì. Ma il mondo aspetta un altro colpo di genio.

 

Trasformarlo nelle pause tra una seduta e l’altra in una Eataly? Pacta e fagioli, come piatto forte.

 

Questo magari dopo. Intanto, non essendo chiaro come dovrà essere la ex Camera Alta, neppure la riforma del Titolo V della Costituzione, sui rapporti tra Stato e autonomia locali, ha una forma non diciamo definita ma neppure approssimativa.

 

Infatti questo Titolo V  dovrebbe avere il suo perno regolativo in un Senato futuro e gratuito ma misteriosissimo. Nebbia, palude.

 

Renzi bluff.

 

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