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Brunetta: “Su taglio Irpef governo nel caos”

 

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“Il dibattito sul taglio dell’Irpef per i redditi più bassi continua a tenere banco, senza per altro contribuire a quel minimo di chiarezza che sarebbe necessario. Non si capisce se sarà una semplice una tantum o un intervento di carattere strutturale. Se avverrà attraverso una riduzione delle imposte o – ultima novità – dei contributi INPS. L’unica cosa che sembra certa è l’ipotesi della sua necessaria visibilità in busta paga. E c’è chi già pensa ad una vera e propria voce da scrivere in busta paga: contributo Renzi. La ciliegina sulla torta, in vista delle imminenti elezioni europee. Qualcosa di tangibile per convincere gli elettori. Ed all’ortica tutti i discorsi su come cambiare un’Europa prigioniera dei dogma (ma soprattutto degli interessi) tedeschi.

 

L’idea di ridurre i contributi non è nuova. Fu avanzata qualche giorno fa da Vincenzo Visco, il non compianto ministro delle finanze – per la verità era solo vice-ministro – del governo Prodi. Risolverebbe il problema dei cosiddetti ‘non capienti’: vale a dire di coloro che sono esenti, a causa di un reddito troppo basso, dal pagamento dell’IRPEF. La contraddizione è nel maggior costo dell’operazione. Estendendo la platea quei 10 miliardi, a regime, che ancora non sono stati trovati, diverrebbero 14. Ma le coperture, nei ragionamenti finora svolti, sembrano contare meno di uno zero spaccato. Senza contare, infine, che una proposta del genere rischierebbe di alterare la logica profonda che sorregge l’intero impianto previdenziale nato dalla riforma del ’95: basata sulla relazione attuariale tra contributi effettivamente versati e rendita pensionistica.

 

Le motivazioni addotte sono sempre le stesse. Una busta paga più pesante aumenterebbe i consumi ed, attraverso questa via, metterebbe benzina nello stanco motore dell’economia italiana. Tesi solo in parte condivisibile. Bastasse aumentare la domanda interna per risolvere i problemi strutturali della nostra economia sarebbe l’uovo di Colombo. Chi ragiona in questo modo – soprattutto Stefano Fassina – trascura di considerare la vera anomalia del nostro Paese: una produttività troppo bassa che negli anni ha prodotto il suo progressivo decadimento fisico. Se non si interviene su questo fronte, ogni soluzione rischia solo d’essere un pannicello caldo.

 

La via maestra – come mostrano i casi della Spagna e della stessa Grecia – è, invece, quella delle grandi riforme che consentono di migliorare la produttività totale dei fattori. E’ questo l’elemento che rende componibile il puzzle della nostra economia. Se cresce la nostra capacità di produrre, allora la spinta proveniente da una maggiore domanda interna agisce da volano. E gli stessi vincoli europei diventano il fattore marginale di un equilibrio più complessivo”.