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ECONOMIA. Avviso al ministro Padoan e al ragioniere Franco: tolleranza zero sui falsi contabili, non siamo la Grecia. Se Renzi insiste, esistono le dimissioni

 

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Più passa il tempo e più la bolla delle promesse, delle dichiarazioni reboanti, del mantra degli impegni annunciati, tende a sgonfiarsi. La domanda è sempre la stessa: dove sono le risorse necessarie per finanziarle? Rinviare tutto al DEF è solo comprare un po’ di tempo in più. Alla fine, comunque, i nodi verranno al pettine e si vedrà se il re sarà ancora vestito. In attesa che questo destino si compia, è bene ricordare alcune regole elementari che le recenti innovazioni, sul piano costituzionale e in attuazione dei trattati europei, hanno reso più stringenti.

 

Le maggiori spese annunciate – dalla scuola alla lotta contro il dissesto idrogeologico, passando per il taglio dell’IRPEF e lo sgravio della bolletta energetica – vanno coperte rispettando non solo gli importi, ma la relativa tempistica. Se nel mese di maggio lo Stato incassa meno IRPEF, per circa 800 milioni al mese, a questa minore entrata deve corrispondere una minore spesa. L’uso della Tesoreria può rappresentare un piccolo ammortizzatore finanziario, ma alla fine i conti devono tornare. La spending può colmare questo vuoto? Ne dubitiamo, salvo ricorrere a tagli lineari, con il retro pensiero che i capitoli toccati saranno poi integrati con il bilancio d’assestamento.

 

In passato questa procedura è stata, a volte, seguita. Ma allora si trattava di contenere un deficit alimentato dalla spesa che non si era riusciti a comprimere in modo adeguato. Non si utilizzavano, cioè, queste poste per nuovi impegni. Lo stesso dicasi per le clausole di salvaguardia. L’ultima della quale è stata utilizzata dal Governo Letta. L’impegno, contenuto nell’ultima legge di stabilità, era quello di realizzare risparmi per un ammontare di circa 5 miliardi. Se l’obiettivo, a fine anno, non fosse stato raggiunto si sarebbero ridotte le agevolazioni fiscali o aumentato il relativo prelievo, con nuove imposte.

Mario Monti, pressato dall’esigenza di chiudere la procedura d’infrazione, in cui l’Italia era incorsa, aveva ipotizzato, in caso di fallimento dei tagli affidati a Enrico Bondi, un aumento dell’IVA. Sappiamo com’è finita. Ed oggi su ogni transazione il consumatore è costretto a pagare il 22 per cento. Aggiungiamo che quella condizione fu imposta dalla Commissione europea.

 

Le norme precedenti, infatti, prevedevano un riferimento più generico. Fu Bruxelles a dire che quella procedura non poteva essere accettata e a costringere il Presidente del Consiglio a scelte vincolanti.

 

Oggi Matteo Renzi si trova nella stessa condizione, ma con un’aggravante in più. Le finalità delle sue promesse, per quanto attiene il taglio dell’IRPEF sui redditi più bassi, hanno un sapore elettoralistico, che non è sfuggito ai tecnici di Bruxelles e non solo. Questi, in particolare, non hanno molto gradito la sua performance, nella capitale belga. Discorsi, fatto inusuale, ch’erano più rivolti ai suoi potenziali elettori, che non a mettere realmente in moto quel processo di riforma delle Istituzioni comunitarie, che pure sarebbe indispensabile. Lo hanno dimostrato i risolini acidi di Olli Rehn e Josè Barroso, nel corso della loro conferenza stampa. Poi il risentimento più discreto, attraverso le linee telefoniche, la cui eco è giunta fino al colle più alto della Capitale.

 

Non sarà quindi facile trovare la complicità necessaria, che pure in altre occasioni si è manifestata.

 

Sulla graticola sono soprattutto il Ministro dell’economia, Pier Carlo Padoan ed il Ragioniere generale dello Stato, Daniele Franco. Entrambi tecnici di prestigio, con una grande credibilità internazionale alla quale non sono disposti a rinunciare. Non dubitiamo che si faranno valere, fino alle estreme conseguenze. Ne vedremo, pertanto, questa è la facile profezia, delle belle. Da parte nostra faremo il possibile per evitare che demagogia e maquillage contabile facciano precipitare l’Italia in un vortice inarrestabile.

 

Il caso della Grecia è ancora lì ad insegnarci quanto sia importante la credibilità internazionale. L’intervento della Troika in quel Paese non fu tanto conseguenza dei conti in disordine, quanto il risultato dell’intervenuta falsificazione dei bilanci. Impediremo che si ripeta lo stesso errore

 

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