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RIFORME. I patti vanno rispettati, e Renzi non lo fa. Non permetteremo che il Pd rottami l’Italia infilandola nel suo pantano. Proposta di un nuovo “Nazareno”

 

Berlusconi Renzi

Non accetteremo passivamente la rottura del Patto del 18 gennaio.

 

 

Quel giorno Renzi e Berlusconi sottoscrissero un accordo dove si prevedeva la sequenza delle riforme, il loro tenore, la sequenza temporale.

 

Legge elettorale bipolare e maggioritaria, con eventuale ballottaggio e soglie decise in basso e in alto per impedire i ricatti dei piccoli partiti.

 

Senato non elettivo, la cui forma era da concordare, e su questa base un nuovo Titolo V della Costituzione sul rapporto Stato-Regioni. In ordine cronologico, per puro realismo.

 

Abbiamo accettato le modifiche dell’Italicum, avendo Renzi rispettato il metodo per cui qualsiasi cambiamento sarebbe stato concordato  tra i firmatari del Patto.

 

Ora posporre l’approvazione della legge elettorale a quella del Senato, significa consegnare la speranza di cambiamento nella palude tiberina e fiorentina (anzi – come vedremo subito – nazarena).

Lasciamo perdere qui la furbesca  trovata di Renzi che vuole alzare di 80 euro la busta paga dei salariati a basso reddito portandoli via ai pensionati e trasgredendo la legge di bilancio.

Cosa gravissima, incostituzionale, pura propaganda elettorale da voto di scambio, su cui la nostra durissima opposizione è persino ovvia, ma non c’entra con le riforme.

Quello è il punto fatale per cambiare l’Italia. Legge elettorale per dare governi certi, capaci di incidere, con architettura istituzionale snella.  Non intendiamo avallare con una specie di silenzio assenso la rottura del Patto, e farci trascinare nel pantano, dove sguazzano come alligatori  i democratici nelle loro varie versioni. Noi no.

 

A questo punto, siccome siamo gente di parola, prima di denunciare formalmente quell’accordo, per evidente mancato rispetto delle clausole da parte di Renzi, è puro buon senso che i protagonisti dell’accordo si incontrino di nuovo, verifichino quel che è stato fatto (nulla di concluso…) e quanto resta da fare.

Altrimenti il Paese capirà in che razza di mani dilettantesche siamo finiti a furia di colpi di Stato contro Berlusconi e contro la democrazia.

 

Saremmo felici che Renzi mostrasse finalmente di saper puntare lo sguardo oltre il proprio sacro ombelico.  La nostra è una proposta di soccorso anche morale.

Finora il neo premier è tutto in una frasetta che il “Corriere della Sera” mette oggi in prima pagina. “Se non passa la  riforma del Senato, finisce la mia storia politica”, esordisce così l’intervista con Aldo Cazzullo.

 

Avrebbe potuto scegliere un altro milione di motivazioni, forse sessanta milioni, qual è il numero degli italiani che sono in questa bufera cosmica e rischiano il futuro proprio e delle generazioni che verranno. No, Renzi ha scelto se stesso.

Se l’Italia va in rovina, cade nel baratro, faccende altrui. Il guaio sarebbe che se ne va lui.

Possibile che il destino del nostro Paese sia affidato a questa presunzione infantile, da “dopo di me il diluvio”?

Da non credere. L’Italia ha sopportato la tragica perdita di Moro, la caduta della Prima Repubblica, siamo convinti reggerà il colpo se dovesse concludersi la carriera di Renzi.

Sia chiaro. Non saremo noi a tagliare la corda dell’altalena su cui si diverte il Presidente del Consiglio, per poi essere accusati di non volere semplificare e tagliare le spese della macchina politica. Non riusciranno a darci la colpa pure di questo, per il comodo della propaganda.

 

È il Partito democratico, la sua inconsistenza ideale, il furore di potere che mette uno contro l’altro che determinerà la conclusione fragorosa dello spettacolo di televendite renziane.

 

Il Pd  ha prima portato in alto Bersani, poi lo ha tirato giù. Quindi ha esaltato Letta, e lo ha abbattuto. Ora, dopo aver intronizzato come un divo Renzi, sta operando attivamente per defenestrarlo.

 

La guerra che Grasso ha dichiarato alla riforma del Senato non può essere derubricata a legittima diversità di opinione. È uno scontro istituzionale senza precedenti.

 

Questi “democrat”, come amano profeticamente definirsi con una parola tronca, hanno una teoria e una prassi della democrazia ancora più tronche.  Si sono impossessati dello Stato, a tutti livelli. 

 

 

Non si vergognano di ammetterlo, al punto che una modesta vicesegretaria del Pd, catapultata dalla provincia,  si permette di chiedere obbedienza e silenzio alla seconda carica dello Stato in quanto Grasso è stato candidato nella lista del Pd.

 

Per questo ci permettiamo di chiedere al Presidente della Repubblica, che pure è la costola del citato partito, un intervento chiarificatore, dove siano posti i limiti del signoraggio di una parte politica sullo Stato.

E se deve finire qualche carriera politica, pazienza:  ci sono tanti altri mestieri nella vita.

 

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