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BERLUSCONI.10 aprile. Non è una questione privata, ma lì si gioca l’essenza della democrazia e la legittimità delle riforme

 
 

Berlusconi-decadenza

Si dimentica un punto piccolo piccolo quando si discute di riforme necessarie all’Italia per sollevarsi dalla crisi.

 

 

Bisogna inserire una clausola operativa anti-golpe. Una sorta di preambolo, un tipo di premessa tipo “Io sono il Signore Dio tuo”, formula che non è inserita tra i comandamenti ma ne costituisce il fondamento.

 

Chi fa le regole? Nella Bibbia, se ci fidiamo del racconto di Mosè, è Dio. In una democrazia la parte di Dio la fa il popolo, che sceglie chi lo governa mediante il voto. Se questo deve valere per i periodi ordinari, tanto più il popolo ha arci-diritto di votare colui che non solo governa, ma cambia le regole del gioco.

 

Ebbene in Italia oggi sta accadendo che:

 

1-    chi conduce il ballo delle riforme, Matteo Renzi, non è stato eletto dal popolo, e perciò sta esercitando un potere slegato obiettivamente dalla sovranità popolare. E questo non è uno sbrego democratico da poco;

 

2-     chi dà legittimità democratica a Renzi, paradossalmente ma non tanto, è il suo principale interlocutore in questo processo riformatore, cioè Silvio Berlusconi, che da vent’anni è leader confermato dal popolo con 167 milioni di voti. Berlusconi,riconoscendolo, presta a Renzi la propria legittimità di leader indiscusso della opposizione;

 

3-    accade che ora si stia per consumare un fatto che esercitato in nome della giustizia potrebbe infliggere una ferita mortale alla legittimità del cammino di riforme. Un collegio di giudici del Tribunale di Milano si appresta infatti a decidere, il 10 aprile, che tipo di pena dovrà scontare Silvio Berlusconi. Se in carcere (ipotesi per fortuna remota), gli arresti domiciliari, o la messa in prova ai servizi sociali, con vincoli più o meno stringenti. Potrebbe cioè essere estromesso di fatto non solo dai pubblici uffici ma dalla vita politica. Ma Berlusconi non è solo Berlusconi: Berlusconi è il suo popolo.

Detti quei tre punti, confessiamo che i polpastrelli si rifiutavano di percuotere i tasti del computer, si vergognavano anche le dita di veder associata le parole carcere o servizi sociali al nome  di un uomo che ha magnificamente illustrato l’Italia con i propri successi in ogni campo nel quale si è impegnato. Ma tant’è.

 

A questo ci ha portato la guerra contro la sovranità popolare innescata da poteri forti economici e giudiziari.

 

Sta succedendo che sia la politica sia i mass media trattino la questione che si deciderà il 10 aprile quasi fosse una faccenda privata di Silvio Berlusconi. Un avvenimento e una sofferenza da articolo di colore o da commento  moraleggiante. 

 

Non è così. È una questione politica che  riguarda l’essenza e la pratica della nostra democrazia. Dalla decisione del 10 aprile dipende non solo l’efficacia delle riforme in cantiere, ma la loro stessa legittimità.

 

Sarebbe interesse di un Presidente del Consiglio, che punti ad essere non una meteora fosforescente e acrobatica ma uno statista che ama l’Italia, porsi il problema in termini seri e gravi. E così il Capo dello Stato. 

 

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