Socialize

CONTRO L’EUROPA TEDESCA. Il rischio è la balcanizzazione del Continente, come negli anni ‘90. Non si scherza con i popoli

 

GermaniaAncora una volta la Germania rischia di essere come Kronos. Secondo la mitologia greca, fu l’ultimo dei Titani, generati da Urano, che divorò i suoi figli nel timore che costoro potessero spodestarlo.

 

Negli ultimi cento anni di storia, la Germania ha distrutto per ben due volte l’Europa, nel tentativo di imporre la sua supremazia. C’è il rischio che questa sciagura si ripeta per una terza volta. Certo non sarà la guerra a seminare morte e distruzione, ma non per questo il prezzo da pagare sarà meno alto. Perché, in prospettiva, ciò che è in gioco è proprio l’esistenza dell’euro. L’elemento fondante dell’Unità europea.

 

A differenza di altri non riteniamo che questa prospettiva sia una soluzione. Il crollo della moneta unica avrebbe conseguenze disastrose. Sul piano economico e finanziario assisteremmo ad un susseguirsi di svalutazioni che distruggerebbero gran parte della ricchezza che negli anni le singole comunità hanno accumulato.

L’inflazione tornerebbe a mordere. I debiti pubblici schizzerebbero in alto sia per effetto delle politiche monetarie, inevitabilmente più restrittive, che per l’accresciuto premio per il rischio a carico dei Paesi più indebitati.

Forse, grazie  all’inevitabile svalutazione, aumenteranno le esportazioni, ma a quale prezzo per i restanti comparti dell’economia e della società?

 

Ancora più dirompenti le conseguenze politiche. Riemergerebbero le antiche fratture statuali, che hanno insanguinato il vecchio Continente, mentre un’Europa indebolita non riuscirebbe a mantenere la rotta nel grande oceano della globalizzazione, in cui la competizione non avviene più tra singoli Stati, ma per grandi aree economiche. Sarebbe lo scontro tra David – le piccole Nazioni – e Golia: le grandi potenze continentali come la Cina, l’India e gli stessi Stati Uniti. E questa volta a vincere non sarebbe la fionda del piccolo eroe greco. Prospettive più che inquietanti, che richiamano alla mente le parole di Benedetto XVI, quando additò il pericolo che l’Europa potesse congedarsi dalla storia.

 

Esorcizzare questo fantasma è quindi assolutamente indispensabile. Ma non bastano le semplici parole. Occorrono invece fatti concreti sotto forma di politiche economiche che siano coerenti con un impegno effettivo, che non si limiti soltanto ad una retorica convenzionale. Mario Draghi, finora, è stato il più coerente. Anche a costo di scontrarsi con la Bundesbank, nel sostenere l’azione della BCE e mettere in campo una politica monetaria non convenzionale, tesa a rompere quelle asimmetrie che ne ostacolavano il corretto funzionamento. Ma i risultati si sono dimostrati inferiori alle attese.

 

Non poteva essere diversamente. La politica monetaria è solo una componente della politica economica. Se non si interviene con coerenza sul set complessivo degli strumenti a disposizione, le conseguenze non possono che essere limitate.

Meglio di niente, naturalmente, ma la persistenza della crisi ed il rischio di un avvitamento nella deflazione stanno a dimostrare quanto sia ancora lunga la strada da percorrere.

 

C’è solo da aggiungere il peso dei precedenti storici. La crisi del sistema monetario europeo, agli inizi degli anni ’90, fu determinato dalle stesse contraddizioni. Anche allora fu la mancata rivalutazione del marco, rispetto alle altre monete, a determinare il crollo dell’intero sistema.

La Bundesbank, per far fronte ai problemi della riunificazione tedesca, si limitò ad alzare i tassi d’interesse, quale contromisura al crescente deficit di bilancio, riflesso dei trasferimenti di risorse a favore dei landers dell’Est. Ne derivò un brusco mutamento dei movimenti di capitale, che penalizzò le economie più deboli – l’Italia, ma non solo quella – fino all’inevitabile epilogo della svalutazione.

 

Il ricordo di quegli anni dovrebbe far riflettere. In una area monetaria sub-ottimale, quale è oggi l’Unione europea, l’equilibrio sistemico può essere raggiunto solo se le diverse bilance dei pagamenti sono sostanzialmente in equilibrio. Se invece questo non avviene a causa di Paesi che presentano forti surplus valutari, l’unica arma a disposizione dei Paesi in deficit è la svalutazione della propria moneta. Se questa chance, a sua volta, è preclusa dalla rigidità del cambio, non resta che la via del progressivo restringimento della propria base produttiva.

 

E’ quanto sta avvenendo in Italia, ma non solo. Spagna, Grecia, Portogallo, e Francia vivono nelle identiche condizioni.

Non traggano in inganno i dati sull’andamento delle partite correnti delle bilance dei pagamenti. Il leggero surplus che si registra nella maggior parte di queste economie è solo conseguenza del basso potenziale produttivo utilizzato e della forte compressione della domanda interna: sia come consumi che come investimenti. Fino a quando si potrà resistere?

Questo è l’interrogativo che pesa sulle prossime elezioni europee. Se dalle urne uscirà un risultato fortemente caratterizzato da un sentimento di rivolta contro la cieca austerità tedesca.

E se le classi dirigenti di quel Paese saranno in grado di comprendere la lezione, forse, una speranza ci sarà. Ma se questo non avverrà, il rischio è quello di ricadere nella tragica spirale degli anni ’90.

 

PER APPROFONDIMENTI, VAI SUL SITO WWW.ILMATTINALE.IT