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ECONOMIA. La nostra proposta di riforme economiche. Roba seria, non propagandistica. Ultima stazione per cambiare rotta

 

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Che fine hanno fatto i grandi censori dei vizi della politica, i fustigatori dei costumi, pronti a scendere in piazza ad ogni stormir di fronda? Matteo Renzi straparla, ma non compie alcun gesto significativo in grado di dimostrare quel minimo di coerenza che si dovrebbe richiedere ad ogni governante.

 

Dove sono le risorse per coprire le promesse elettorali lanciate a piene mani? Tutto è avvolto in una nebbia che lascia interdetti i suoi stessi supporter di partito. Quando si parla con loro, off-record, gli interrogativi si moltiplicano. E l’unica speranza che traspare è quella di un possibile taroccamento dei conti pubblici, nella speranza di trovare, in Europa, le necessarie coperture politiche.

 

Non sarà così semplice. Gli accordi internazionali lasciano pochissimi margini. Le più recenti previsioni della Commissione europea offrono un quadro che non consente scappatoie. Naturalmente quelle previsioni possono essere contestate, ma la loro forza intrinseca è tale da rendere difficilmente percorribile questa strada. Il metodo usato dalla Commissione è lo stesso praticato per tutti i Paesi. Se si contesta quel modello, la reazione degli altri partner non si farà attendere. Ne sa qualcosa Giulio Tremonti, quand’era ministro dell’Economia. Per risparmiarsi le inutile fatiche, prese sempre come base quello scenario e si comportò di conseguenza.

 

Aggiungiamo solo che le relative previsioni hanno avuto un conforto ampio da parte degli altri organismi internazionali. Si può andare contro questa corrente senza rischiare di sbattere? E’ utile infilarsi in un tunnel che rischia solo di calamitare sul nostro Paese l’accusa di inaffidabilità?

Se da giorni insistiamo sul tema è solo per evitare che, per soddisfare le esigenze elettoralistiche del premier, l’immagine dell’Italia, dopo anni di sacrifici, possa tornare ad essere, nell’immaginario internazionale, quella di un Paese truffaldino. Che predica bene e razzola male.

 

Non ci presteremo a questo gioco. Lo abbiamo detto con chiarezza, sottoponendo il caso al Presidente della Repubblica, la cui risposta, per bocca del Segretario Generale del Quirinale, ci ha confortato. Quelle decisioni, che ancora mancano, quando saranno formalizzate, saranno oggetto di un’analisi severa. Perché la posta in gioco è rilevante.

 

Non ne va solo dell’immagine del premier, ma di tutti gli organi che saranno coinvolti nell’esito finale. Per fortuna le nuove norme di carattere costituzionale, che dovranno sovraintendere alle procedure di bilancio, sono stringenti, a partire dalla maggioranza (assoluta) richiesta per giungere all’approvazione finale.

 

E in quella sede analizzeremo con cura ogni risvolto della proposta, rifiutando ogni tentativo di camuffamento: sia si tratti di fantasiose crescite del PIL o di ipotetici risparmi nella spesa per interessi, che possono solo essere certificati a fine anno.

 

Intanto, la stampa internazionale più avvertita, comincia a mettere le mani avanti. In un recente articolo del Telegraph, l’accento è posto sul pericolo della deflazione: il male oscuro che sta contagiando l’intero Continente. Se non si arresterà questa deriva, l’antica frattura che divide i Paesi baltici, con in testa la Germania, rispetto a Club Med è destinata ad ampliarsi.

 

Secondo i calcoli del FMI, in questo scenario, il debito pubblico italiano è destinato a sfiorare, nel 2017, il 150 per cento del PIL.  Quello francese il 105. Per non parlare di chi sta ancora peggio di noi come la Grecia.

Questi dati dimostrano quanto sia complessa la situazione politica italiana. La battaglia da condurre è su due fronti.

 

All’interno è necessario accelerare, ma non a chiacchiere, quelle riforme che latitano. Riforme serie e non certo il gattopardismo che si vede in Parlamento.

 

In Europa è indispensabile spingere la Germania a reflazionare la sua economia, puntando sulla crescita della sua domanda interna, al fine di ridurre l’enorme surplus della bilancia commerciale.

 

E se questo non sarà possibile, allora si dovrà procedere nel varo degli euro bond, per far fronte all’eccesso di debito dei Paesi in difficoltà.

 

Entrambi questi obiettivi richiedono una grande coesione nazionale. Le riforme serie si fanno solo puntando sulla qualità delle proposte che, a loro volta, escludono qualsiasi intento elettoralistico. Lo stesso dicasi per l’Europa.

 

La necessaria riforma dei Trattati, perché di questo si tratta, ha una speranza minima di successo solo a seguito di una richiesta corale e condivisa dell’intera Nazione. Se, invece, permangono le fratture, rese tali dalla divergenza delle strategie politiche, tutto diventa più difficile ed il gioco del “divide et impera” delle principali cancellerie risulta vincente.

Da parte nostra non abbiamo dubbi. Siamo disponibili per qualsiasi serio confronto in difesa dei grandi interessi nazionali.

 

Ma su questa sponda dobbiamo trovare anche il Presidente del Consiglio ed il suo partito.

 

Se il gioco, invece, è diverso, la nostra opposizione non può che essere conseguente.