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ECONOMIA. Il Def(iciente) di contenuti è pieno di chiacchiere. Le riforme inesistenti e il conflitto di interessi di un premier che pensa solo a salvare se stesso

 

Renzi

Forse a Renzi conviene non scrivere niente. Limitarsi ai pesci rossi. O ai termini devoti dei giornalisti che lo circondano festosi come quei pargoletti del Vangelo che Gesù chiama a sé.

 

Appena Renzi prova a trasformare le slides colorate nel nero su bianco delle leggi, è un impiastro.

 

Il Jobs Act una volta depositato al Senato si è rivelato un laboratorio di produzione del fumo. Qualcosa che il “Financial Times” boccia drasticamente per la sua vaghezza e inconsistenza.

Una legge delega che quando arriverà a essere promulgata con le sue determinazioni  operative, si rivelerà un duro colpo di martello sull’acqua, o – se si preferisce – sulla lapide dei disoccupati nel frattempo defunti.

 

Il disegno di Legge Delrio approvato in via definitiva, e del quale si è appropriato indebitamente (è roba del governo Letta), è una truffa dei cui proventi si limita a essere il ricettatore.  Si vanta che in tal modo è riuscito a togliere denaro dalle tasche dei politici per ridarli ai cittadini. Bugia grossolana. Ha rubato la politica, cioè la possibilità di scelta, ai cittadini, per consegnarla al suo partito…

 

Quando poi scrive leggi che sul serio vanno a incidere sui conti e sulla realtà, che fa? Segnaliamo la riscrittura del “Salva-Roma”. In realtà ospita anche un “Salva-Firenze”. Detta così sarebbe persino nobile intento. Chi non vuole salvare Firenze? Una città che è il cuore dell’arte mondiale. Ma non è la legge salva Firenze, è la legge che salva (il sindaco di) Firenze. Salva-Renzi. Sana le illegalità di stipendi esagerati, fissati per dirigenti da lui scelti e pagati, coi soldi degli italiani, saltando le leggi vigenti. Un conflitto di interessi grande come una casa. Una faccenda che non può passare sotto silenzio, e della quale esponiamo in dettaglio le vergogne.

 

Siamo al Def, il Documento di economia e finanza. Per ora è una bolla d’aria uscita dalle gote rosee del neo-premier, durante la sua conferenza stampa show a Palazzo Chigi.

 

Siamo gente seria:  il giudizio definitivo sarà possibile solo dopo averne letto il testo. Così com’è stato presentato, constatiamo – e proponiamo l’analisi nell’articolo successivo – che è vuoto a perdere, tasse che pareggiano altre tasse. Conti basati su cifre impossibili da determinare salvo essere profeti.  Demagogia.

 

Con probabili infrazioni alle leggi che presiedono alla corretta formulazione del medesimo Def.  Vedremo, con speranze molto scarse di resipiscenza. Siamo d’accordo con l’analisi spietata di Nicola Porro sul “Giornale” e con l’onesta critica di Federico Fubini su “Repubblica”, il quale spiega che in quel che è stato reso noto sono più gli spazi bianchi che quelli occupati da idee serie e conti verificabili.

 

Insomma, sul palloncino colorato Renzi stavolta ha scritto Def, ma Def sta per deficiente: manca di tutto, contenuti, conti, argomenti.

 

Interessante notare come sul foglio di appunti, uscito dalle stanze di Palazzo Chigi per il comodo della sua propaganda sul “Corriere”, non siano fissate proposte rigorose e precise, ma spunti retorici. Tipo: “Un documento molto serio, rigoroso, anche troppo”. E, sottolineata, messa in grande, centrale,  la frase cardine, il programma dei programmi: “Dai, che ce la facciamo”.

Ha scambiato il Def per una specie di corso di autocoscienza da New Age.

 

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