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ECONOMIA. Renzi dà un contributo decisivo a rendere più iniquo ed irrazionale un sistema di tassazione, che più demenziale non si può. Analisi scientifica del Def(iciente)

 

Renzi

 

E’ stata la più grande redistribuzione del reddito mai tentata prima”: ha detto Matteo Renzi, con un pizzico d’orgoglio e tanta incoscienza. Perché intervenire sulla distribuzione del reddito, allentando ulteriormente i legami che dovrebbero garantire il rapporto produttività – salario effettivo, rischia di produrre soltanto disastri.

 

Innanzitutto per la corretta allocazione delle risorse.

E’, infatti, evidente che simili scelte finiscono per alterare ulteriormente le logiche di mercato orientando la stessa offerta di lavoro verso quei settori che garantiscono, a parità di reddito lordo, un maggior vantaggio fiscale relativo.

 

Un esempio chiarisce meglio. Se mi offrono due lavori distinti: uno da 26 mila euro all’anno ed uno da 25 mila, razionalmente dovrei scegliere il secondo. L’importo lordo è più basso, ma il minor carico fiscale compensa ampiamente lo scarto iniziale.

 

Sennonché se per il primo lavoro la paga è più alta si presume anche che la produttività (sotto forma di impegno personale, responsabilità e via dicendo) sia maggiore. Risultato un impiego non ottimale, dal punto di vista della collettività, del mio tempo lavoro.

L’esempio introduce, nella sua logica semplificata, discorsi più complessi come quello, ad esempio, di Vincenzo Visco, che affronta il problema dal lato della semplice equità fiscale.

La decisione di Renzi, – volta a piantare una bandierina il giorno prima delle elezioni europee, come ha detto Bersani – secondo quest’ultimo “non può che produrre effetti dirompenti sulla struttura dell’imposta”.

Vale a dire, aggiungiamo noi, una situazione caotica che rischia di rendere ancora più iniquo ed irrazionale un sistema di tassazione, che più demenziale non si può.

La prima grande ingiustizia della mossa elettoralistica del Presidente del consiglio, si manifesta tra la diverse tipologie di contribuenti.

 

A parità di reddito percepito, il carico fiscale diminuisce per una parte dei lavoratori dipendenti, accentuando le differenze con i pensionati e gli autonomi: i quali già subivano il peso di un’aliquota marginale effettiva maggiore. Il tutto con buona pace dei principi d’ordine costituzionale che dovrebbero regolare la materia, sia in relazione al principio di eguaglianza che alla progressività dell’imposta, che non può dipendere dal capriccio del momento.

 

Anche in questo caso, comunque, l’effetto distorsivo è evidente.

Avendo la possibilità di scelta, a parità di reddito il lavoratore opterà per quello dipendente fiscalmente privilegiato.

La seconda incongruenza riguarda i rapporti tra le classi di reddito per i lavoratori dipendenti. Il gioco delle detrazioni scompagina la gerarchia delle aliquote marginali esistenti, determinando effetti paradossali. Sempre secondo i calcoli di Vincenzo Visco, mentre l’aliquota marginale effettiva per coloro che guadagnano tra 15 e 20 mila euro si riduce, essa aumenta, invece,  per coloro che guadagnano tra 20 e 28 mila, per poi ridursi nuovamente per i redditi ancora maggiori (da 28 a 40 mila).

 

C’è da aggiungere che, elevando il livello delle deduzioni, molti contribuenti passeranno armi e bagagli nel girone degli incapienti, ottenendo quindi un ristoro fiscale molto più basso degli 80 euro promessi.  Insomma il caos o se si preferisce l’eterogenesi dei fini: componente del resto tipica della cultura di sinistra.

 

Finora abbiamo considerato solo le caratteristiche dell’obolo concesso.

Non ce ne voglia il buon Matteo, ma noi siamo abituati a ragionare in termini di riforma complessiva del sistema fiscale e non di piccole mance elargite a favore di questo o di quello. Mance che, naturalmente, hanno un costo che qualcuno dovrà pagare. Sul fronte delle relative coperture è nebbia fitta. Le conosceremo solo al varo del decreto legge relativo. Nel frattempo, tuttavia, il Parlamento sarà chiamato – vedremo se risponderà – a varare al buio il DEF, senza avere contezza di quel che bolle in pentola.

 

E’ evidente, infatti, che una manovra come quella annunciata, che vale ben più di 10 miliardi (visto il  problema degli incapienti) a regime, deve essere valutata nel suo complesso. Deve essere computato, cioè, sia il dare che l’avere. Perché solo così si potrà esprimere un giudizio ponderato sui suoi effetti macro-economici.

 

In attesa che il Ministro dell’economia Padoan estragga il coniglio dal cappello, il Presidente del consiglio ha iniziato la sua guerra personale contro banche e dirigenti pubblici. Devono essere additati al pubblico disprezzo per imporre loro la “giusta punizione”.

Negli anni passati hanno avuto troppo, ora devono espiare. Insomma: il nuovo nemico di classe è stato individuato. Ed ora va solo annientato. La logica sottesa a queste prese di posizioni è fin troppo trasparente: Renzi ha sempre bisogno di un bersaglio. Ieri erano i vecchi del suo partito.

Oggi sono le banche ed i dirigenti pubblici, alcuni dei quali saranno anche da “rottamare”, ma non certo ricorrendo allo strumento della decimazione. Ipotesi che il Presidente del consiglio sembra prediligere.

 

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