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RIFORME. Promettere molto, non fare niente, per vincere le europee e prendersi la legittimazione che non ha. Siamo al Sudamerica

 

 

 

Renzi Renzi

Qui segue un elenco di trucchi da festival per dilettanti della magia usati da Renzi e che esemplificano la sua strategia.

 

Il Presidente del Consiglio di oggi non è stato eletto per suffragio universale. Egli ha avuto bisogno di Berlusconi, che ha ottenuto in vent’anni 167 milioni di voti, per legittimare la propria scalata istituzionale. Il 18 gennaio la scelta di incontrarlo a Largo del Nazareno è stata incamerata dal segretario del Partito democratico come un biglietto per il paradiso.

 

La genialità del nostro leader, che metteva al primo posto la pacificazione anche tra avversari come condizione per una democrazia compiuta, è stata da lui confiscata. Il disegno di bene comune e interesse nazionale che motivava Berlusconi all’accordo siglato con il segretario del Pd aveva la lungimiranza dello statista.

 

Lui se l’è rivenduto per buttare giù Letta, d’accordo coi poteri forti stanchi delle noiose maniere di #Enricostaisereno.

 

Noi abbiamo elogiato ed elogiamo ancora la scelta di Renzi. Non la rinneghiamo affatto. Purché non sia capovolta in una presa al collo per tenerci fermi e soffocarci.

Il problema è che da allora assistiamo alla continua, sistematica erosione dei contenuti del Patto accompagnata dalla simmetrica crescita della sua arroganza nell’identificare se stesso come unico futuro di questa Italia.  Un dominus onnipotente in grado di infilare ciò che vuole in due forni contemporaneamente funzionanti. Quello delle riforme dell’economia e del lavoro, gestito con la maggioranza parlamentare; quello di legge elettorale, e modifiche costituzionali di Senato e Titolo V,  in cui vorrebbe infilare anche noi per cuocerci a puntino.

 

Quanto al primo forno le sue proposte non sono neanche fissate sulla carta, sono fumose, basate sulla propaganda più bieca, avallata dal coro conformista di tv e giornali.  Il secondo forno è in realtà, uscendo dalla famosa metafora andreottiana, un freezer dove impastoiare, come un cavallo che non deve correre, l’Italicum.

 

Ricordiamo che quel modello è di Renzi, mica nostro. Quel 18 gennaio c’è stato un compromesso, e il sistema di partenza, spagnolo, che avrebbe tagliato via tutti i piccoli partiti, si è trasformato in Italicum, con l’accettazione da parte di Berlusconi dell’eventuale ballottaggio.

 

Poi le soglie stabilite in partenza, sono state modificate: tutte! E abbiamo detto di sì. Dopo di che, abbiamo accettato di amputare la porzione di legge elettorale che doveva riguardare il Senato, per senso di responsabilità.

 

Finalmente approvato dalla Camera, con poderosi ritardi, ora l’Italicum giace da quasi un mese al Senato, insabbiato per consentire a Renzi di non rischiare l’impallinamento da parte del suo partito che non controlla, ma che alla fine domerà all’esito delle elezioni europee, qualora gli sia consentito di condurre una campagna da Palazzo Chigi con promesse vuote e demagogia da quattro soldi. Una volta avuto un consenso elettorale improprio il 25 maggio, quel tipo di dittatura sudamericana preconizzata da Pierluigi Bersani, si stabilizzerà per anni sul disastro italiano. Non in nostro nome!

 

Abbiamo chiesto, come da patti, in ossequio alle dichiarazioni di Renzi stesso, stentoreamente pronunciate l’8 dicembre, fresco di primarie, sulla necessità di avere “subito” una legge elettorale e poi di passare alle riforme costituzionali.

 

Niente.

 

Chiama ultimatum, – lui che ha fatto dello slogan “o così o Pomì” la cifra solennemente carosellistica del suo modo di porsi con le altre forze politiche – il nostro semplice richiedere di tirar fuori dal frigorifero una legge pronta.

 

Condendo il “no” con contumelie offensive.

 

Ha patrocinato una legge sulle province dove ha spacciato per abrogazione di enti dispendiosi il trasferimento di poteri ai sindaci di sinistra. Lo stesso procedimento sta adottando con il Senato, su cui non accetta interlocuzione, e che si ridurrebbe nel suo progetto a dépendance squinternata del Partito democratico, senza neanche bisogno di avallo elettorale.

 

Per questo accompagneremo a una rigorosa e responsabile opposizione alle riforme tassaiole da lui propinate come innovative, anche la richiesta chiara e forte di mantenere la parola data. E se non ce la fa, perché ha guai in casa, lo dica.

 

Confessi di non avere maggioranza nel Pd, ne trarremo le conseguenze insieme. Ma non creda di andare alle europee mettendoci nel sacco. Non ci caschiamo.  

 

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