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RENZI. Ovvero la via italiana al peronismo. Invece del peronismo giustizialista, il renzonismo comuni(sta)

 
 

Renzi Renzi

Il Renzismo è il peronismo italiano, chiamiamolo pure Renzonismo.

 

Se lo lasceremo cavalcare indisturbato e vittorioso verso le europee, come l’antecedente sudamericano il caudillo fiorentino ubriacherà le masse  con bonus e cotillon, intorterà le gerarchie ecclesiastiche e militari, farà credere a chi soffre di povertà di aver trovato il proprio eroe.

 

Il risultato finale sarà quello stesso raggiunto da Perón.

 

Il quale devastò l’Argentina. La portò per mano verso l’inferno:  da Stato con gravi squilibri sociali ma ricchissimo (era nel 1945 la sesta potenza del mondo, aveva le casse piene di oro e valuta), dopo breve euforia drogata da provvedimenti allegri,  la trasformò nel disastro economico e sociale generatore di conflitti interni ed esterni, le cui conseguenze durano tuttora.

 

In Renzi c’è la stessa dinamica retorica, la capacità di impastare slogan sentimentali e patriottici. Non stiamo facendo qui una critica di costume, ma politica. La sostanza è la medesima.

Proclamazioni di giustizia piegate a pratiche familistiche, sicumera straordinaria, pretesa di rappresentare in se stesso maggioranza e opposizione.

Se si scorre il programma di Perón, un miscuglio tra capitalismo e socialismo, si ritrovano gli stessi effetti speciali degli annunci renzonisti. Possiamo riproporre qui alcuni dei venti punti del manifesto del leader dei descamisados o qualcuno dei programmi di Renzi a sindaco.

 

Nessuno riuscirebbe a distinguere se si tratta di una formula di Renzi o di una di Perón. “Siamo per  una nuova concezione della vita, semplice, pratica, popolare, profondamente cristiana e profondamente umanista”. “Nella nuova Italia i soli privilegiati sono i bambini”. “In questa terra ciò che abbiamo di meglio è il popolo”. “Dobbiamo cacciare via i gufi dall’Argentina”.

 

Abbiamo mescolato, ma il risultato è quello.

 

Ci colpisce molto in tutto questo il peronismo un po’ castrista che Renzi ha usato per le nomine agli enti pubblici. Stipendi “patriottici” per i manager, bassissimi, fuori mercato, dunque o sono effettivamente di scarso valore, oppure – se capaci e appetiti dalle multinazionali – intendono questa cooptazione come un credito per compiti futuri.

 

Intanto sta distruggendo la burocrazia, piazzando i suoi descamisados come Fidel Castro piazzò Che Guevara alla Banca centrale cubana.

Fedeltà non più al comunismo, in senso tradizionale. Ma al comuni(smo). L’ideologia municipale, la burocrazia degli enti locali. Come dimostra l’ascesa perigliosa della capessa della vigilanza urbana di Firenze a un ufficio essenziale di Palazzo Chigi, dove si danno i pareri giuridici e legali su leggi e nomine.

Siamo al passaggio dalla Repubblica Italiana allo Stato dell’Anci (Associazione Nazionale Comuni Italiani). Comuni(smo), appunto.

Insomma, anche Renzi è peronista, anzi un comuni(sta).

 

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