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BERLUSCONI. E’ una furia della natura e vuol cambiare l’Italia davvero con il presidenzialismo. È l’unico vero leader di questo Paese. Renzi è il nuovo che arretra. In tutti i sensi

 

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Anche sul presidenzialismo, e sulle riforme istituzionali in generale, emerge con chiarezza che Silvio Berlusconi è il vero innovatore, mentre Matteo Renzi è, come da definizione di Marina Berlusconi, “il nuovo che arretra”.

 

Berlusconi, nel denunciare che “il tema fondamentale dell’elezione diretta del Presidente della Repubblica da parte dei cittadini è scomparso” dall’agenda delle riforme, ha individuato la causa “nel vizio di fondo della sinistra: la mancanza di coraggio riformatore, la paura del fuoco amico, l’ipocrisia delle apparenze che nasconde l’immobilismo.

Si preferisce lo status quo di un presidenzialismo strisciante piuttosto che un presidenzialismo costituzionale; un presidenzialismo di ‘periferia’, basato sui sindaci eletti, piuttosto che uno vero basato sulla sovranità dei cittadini”.

 

Cosa risponde Renzi? Che se ne può parlare, ma “dopo la riforma del Senato”.

 

Insomma, una piccola parafrasi del classico gergo politichese immobilista: “non è una priorità”. Un modo ipocrita per dire “No”. Che senso ha fare la cosiddetta “riforma del Senato”, che in realtà tocca ben 45 articoli della Costituzione, inclusi quelli che riguardano le modalità di elezione del Presidente della Repubblica e i suoi poteri e “dopo” parlare di elezione diretta del Capo dello Stato? È ovvio che un Presidente eletto dai cittadini dovrebbe avere poteri ben diversi da quelli attuali e un rapporto totalmente diverso con il Parlamento (Senato o non Senato). Si tratterebbe di cambiare nuovamente la Costituzione appena cambiata, spesso negli stessi articoli, oltre ad andare incontro a tempi talmente lunghi da divenire incompatibili con la durata della legislatura, per quanto lunga essa sia.

 

Il nodo va sciolto in sede di scelta del testo base. La scelta del disegno di legge 1429 Renzi-Boschi dell’8 aprile 2014 sarebbe il NO al presidenzialismo, non per ora, ma per tutta la legislatura.

 

L’alternativa c’è, ed è  il disegno di legge 1146 “Revisione dell’ordinamento della Repubblica sulla base del principio della divisione dei poteri” del 25 ottobre 2013, che prevede 400 deputati, 150 senatori eletti contestualmente alle elezioni regionali, i cittadini che eleggono il Presidente della Repubblica, il quale assume anche le funzioni che oggi sono del Presidente del Consiglio.

 

Pur essendo decisamente più innovativo rispetto al Renzi-Boschi comporta la modifica di solo 29 articoli della Costituzione e prevede opportuni bilanciamenti parlamentari ai poteri assegnati al Capo dell’esecutivo/Capo dello Stato. Si tratta di un modello americano adattato all’Italia, in un testo, presentato in questa legislatura da chi scrive, che si rifà esplicitamente a uno del 9 gennaio 1996 da 80 deputati, in gran parte di Forza Italia.

 

Renzi esca dal politichese, sia pure “innovato” dalla verve giovanilistica e dall’accento toscano, e dica chiaro se vuole o no la vera riforma che darebbe potere ai cittadini e capacità di incidere a chi essi scelgono: l’elezione popolare del Presidente della Repubblica.

 

Se è contro, continui con il pasticcio attuale, se è favorevole, converga sul Ddl che porta il mio nome, per poi modificarlo insieme.

Sen. LUCIO MALAN