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LO STADIO, LO STATO E IL TIFO NAPOLITANO. La questione democratica italiana, dopo il nuovo soccorso offerto a Renzi in balìa dei facinorosi, coincide con quella del Quirinale che intossica di rosso politica e istituzioni

 
 

GOVERNO: NAPOLITANO, VEDREMO COME ANDRA' A FINIRE

Allo Stadio Olimpico si è aperta la crisi morale del governo Renzi. E chi l’ha salvato come uno Zeus? Napolitano. Perché? Dove sta scritto in Costituzione che il Capo dello Stato deve rispondere per conto Renzi?

 

Gli italiani avevano osservato l’immobilità e la totale afonia del povero Matteo in diretta mondiale. Incapace, senza leadership, baluardo solo di se stesso. Nel momento della prova si è ben visto che la vita della nazione non può nutrirsi di promesse.

 

C’era un’emergenza in corso. Il premier era lì. E se n’è rimasto inerte. 

 

In tribuna come una vaso di fiori depositato su una poltrona per abbellire il palcoscenico dove i protagonisti sono stati i facinorosi. E le forze dell’ordine, abbandonate a se stesse, veleggiavano tra calciatori e ultrà, aspettando indicazioni dal capo dell’esecutivo, impegnato a pensare il prossimo tweet, o dal ministro dell’Interno Alfano, immerso nelle beghe dell’Ncd.

 

Le forze politiche hanno svolto il loro lavoro di critica. Lo stesso posto in essere dai commentatori più disparati dell’orbe terracqueo. A questo punto è arrivato  Re Giorgio a soccorrere il governo in pessime acque, annaspante nelle proprie inutili controffensive a base di offese ad avversari politici qualificati come gufi e sciacalli.

Ha detto prendendosi sulle spalle Renzi: “Ha spiegato la sua presenza all’Olimpico dicendo ‘A quelli lì il calcio non glielo consegno!’: è stata una bella battuta che avrei pronunciato anche io”.

In effetti la battuta Renzi l’ha fatta. E allora perché ha lasciato che lo stadio e l’inno fossero sporcati, senza che lui visibilmente reagisse, a quella gente lì? Perché ha poi criticato la polizia, quando alla fine il responsabile dell’esecutivo è lui? Una parolina e un ordine al prefetto, invece che dire battute all’orecchio del Presidente del Coni, no? Ma tutto sparisce. Napolitano ha fatto muro, ha deposto amorevolmente Renzi nella culla.

 

La questione della nostra democrazia oggi coincide con la questione Napolitano. Fin nei particolari minuti, egli si comporta non come un garante delle regole, come custode dell’ethos della nazione che è patrimonio di ciascun attore in campo. No. Napolitano è diventato il padre soccorrevole dei governi che egli ha nominato al di fuori e contro i risultati elettorali. Critica chi si pone fuori da questo perimetro bagnato dall’acqua santa del suo aspersorio di gran sacerdote dello Stato. Anzi di Papa (non a caso abita il Quirinale, un tempo casa dei pontefici romani). Non sarebbe un gran male. Nei tempi di debolezza della politica i padri costituenti avevano previsto, dandogli poteri forti e flessibili, che sarebbe toccata al Presidente della Repubblica la funzione di roccia della democrazia. Della democrazia, appunto: non della parte politica preferita.

Il problema non è che è un Papa, e che applica il “presidenzialismo strisciante”. Se fosse super partes di testa e di cuore, e moderasse con la ragione e con il senso del dovere, l’istinto si potrebbe persino accettare. Ma da anni fa il Papa rosso. Nomina vescovi rossi. Vuole una curia monocolore. Siamo consapevoli che non esistono più i comunisti. Ma il colore rosso diciamo che è quello che meglio definisce il panorama italiano e la storia di questo gran signore, intelligentissimo e sveglissimo, ma parziale, parzialissimo.

Lo diciamo con molto rispetto personale, sicuri delle buone intenzioni. Ma sono intenzioni che pescano in una sorgente che ha poco a che fare con la democrazia. Così non va.