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EUROPA. La verità su quel che ha detto Bruxelles. L’Italia bocciata evita la punizione grazie a Tajani

 

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Diciamo la verità: se non vi fosse stato l’intervento risolutivo di Antonio Tajani, l’Italia sarebbe fin da ora in procedura d’infrazione.

Il rinvio del pareggio di bilancio al 2016, come proposto dal Governo italiano senza alcuna preventiva discussione con la Commissione, non sarebbe stato accettato e quel paragrafo, rimosso, solo dopo le tante insistente del Commissario italiano, avrebbe marcato definitivamente l’immagine del Paese.

Altro che disfattismo, come ha detto, con supremo sprezzo del ridicolo, Simona Bonafè, la nuova leader in sedicesimo del PD, nel suo intervento al TG1. Vecchia storia, del resto. Nella cultura di quel partito sono sempre gli interessi propri a prevalere su quelli di carattere nazionale. Cosa sarebbe successo, a parti invertite? Gli officials, di cui ha recentemente parlato Timothy Geithner, l’ex segretario al Tesoro americano, che cercarono di convincere la diplomazia di quel Paese a costringere Silvio Berlusconi alle dimissioni, come purtroppo avvenne, come avrebbero operato?

Ha prevalso, invece, il senso di responsabilità nei confronti dell’Italia, che ha fatto premio su ogni altra considerazione. Non ci saremmo aspettati un “grazie”. La riconoscenza, in politica, è merce rara. Ma almeno l’intelligenza di non voler strafare. Comunque serva da lezione.

Soprattutto inviti tutti ad una riflessione. Dal pantano della crisi non si esce se non si abbandona la supponenza. I problemi sono troppo seri per dar luogo a pantomime indecenti. Il populismo può convincere una parte anche consistente del popolo italiano, ma la complessità della situazione, alla fine, fa capolino; costringendo tutti a più miti consigli.

La dimostrazione è in quel che rimane delle raccomandazioni che la Commissione presenterà al Consiglio europeo, proprio – ironia della sorte – durante il semestre a guida italiana. Il timone affidato ad un Paese che resta, comunque, insieme alla Croazia e alla Slovenia un “sorvegliato speciale”.

La Commissione è stata coerente con quanto aveva già indicato il 5 maggio. Le cose, in Italia, non vanno per il verso giusto. Va bene il programma di riforme annunciate. Ma il giudizio, in corso d’anno, avverrà non sulle semplici intenzioni, ma sull’effettiva capacità di imprimere all’Italia una svolta sulla via della modernizzazione. Che a sua volta presuppone, all’osso, una scelta di campo a favore del mercato e del contenimento del perimetro dello Stato.

Matteo Renzi è in grado, soprattutto ha la forza, per determinare questo cambiamento? Lo farà con una parte di SEL ed i transfughi di Grillo? Via, non scherziamo. Se non ci riesce l’Europa a darsi una governance basata su un unico schieramento, visto che la “grande coalizione” tra PPE e socialisti è dietro l’angolo, come l’operazione può riuscire in questo nostro disastrato Paese?

C’è un dato primordiale che non può essere negato. Un futuro fin troppo incerto spinge tutti sulla difensiva. Rafforza, in ciascuno di noi, l’istinto alla conservazione nella difesa ad oltranza di quel poco che esiste. Rende più difficile investire. E se non si investe, a causa della presenza di un rischio eccessivo, l’Italia è perduta.

Semplice sociologia. Ma è inutile continuare a spaccarsi la testa con le risorse che mancano, il deficit strutturale che non rientra nei parametri di Maastricht ed il debito che cresce, nonostante i tassi di interesse, in termini reali, siano addirittura negativi, contribuendo alla distruzione dei risparmi accumulati in una vita morigerata.

Questa linea di resistenza è destinata ad essere sconfitta. Anzi è stata già sconfitta, come ha dimostrato Ignazio Visco, nella sua relazione all’Assemblea dei partecipanti alla Banca d’Italia. Recuperare quel 15 per cento di capacità produttiva nel solo settore industriale – per non parlare dell’edilizia o dei servizi – non sarà, comunque facile, ma risulterà impossibile se prevarrà la logica della pura supponenza. Della limitazione pregiudiziale di una maggioranza che tale non è: sia nel Paese che in Parlamento.

Torniamo, quindi, ad Antonio Tajani. Con quel gesto, Forza Italia ha dimostrato tutta la sua disponibilità a lavorare nell’interesse del Paese, anche a costo di favorire la propaganda un po’ becera delle varie Bonafè.

Ma non può durare. Da qui alla fine dell’anno non si tratta solo di convincere – o costringere – gli eurocrati di Bruxelles a chiudere entrambi gli occhi. Si tratta di fare quel che fino ad oggi non è stato fatto.

Anzi di cambiare segno ad interventi che avevano solo una motivazione elettoralistica. Basta scorrere le otto raccomandazioni con cui la Commissione ha nuovamente catechizzato l’Italia. Prefigurano quella “rivoluzione liberale” che, per tanti motivi – soprattutto a seguito della lunga “guerra civile” che ha caratterizzato il tempo della seconda Repubblica – non siamo riusciti a portare a compimento.

Un po’ per colpa nostra, ma soprattutto a causa dell’irriducibile opposizione di tanta parte di quel ceto politico e sindacale che vedeva in ciò la semplice manifestazione di un “pensiero unico” da combattere, senza esclusione di colpi. Una strategia perversa che ha prodotto il disastro di fronte ai nostri occhi.