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BCE. Abbassa il costo del denaro e inietta nel sistema 400 miliardi di euro. La scelta di Draghi di certo fa bene alla Borsa e alle banche. All’economia reale non si sa. Il rischio è la “trappola della liquidità”, la speranza è che i soldi vadano davvero a imprese e famiglie

 
 

The European Central Bank's new chief Ma

Mossa decisiva o disperata? E’ in questa domanda che si riassume tutto il dibattito sulle misure di politica monetaria adottate ieri dal consiglio direttivo della Banca Centrale Europea, che ha deciso per un ulteriore taglio dei tassi d’interesse, per il lancio di nuove operazioni di liquidità condizionate e per il possibile acquisto di titoli cartolarizzati.

 

Nella conferenza stampa a margine della riunione, Draghi ha affermato che “il consiglio direttivo è unanime nel suo impegno ad utilizzare anche strumenti non convenzionali all’interno del suo mandato, dovesse essere necessario per fronteggiare ulteriori rischi derivanti da un prolungato periodo di bassa inflazione”. Una frase che ricorda il famoso whatever it takes pronunciato il 26 luglio 2012 che diede avvio al lancio delle misure non convenzionali di politica monetaria della Bce, che a detta di molti economisti salvarono l’area euro dalla sua disintegrazione.

La mossa non era affatto scontata, soprattutto per via delle forti resistenze mostrate della Germania, che vede in qualsiasi azione di Draghi un motivo per attaccare i paesi del Sud Europa. Tanto che, ieri, la stampa tedesca si è scagliata contro il governatore definendo la sua scelta una “mossa disperata fatta solo per venire incontro alle esigenze dei paesi meridionali”.

 

Tuttavia, gli ultimi dati sull’inflazione dell’eurozona devono aver convinto anche i falchi tedeschi che diversamente non si poteva fare. In Maggio, infatti, l’indice armonizzato dei prezzi europeo è sceso dal +0,7% al +0,5% e anche la Germania ha vissuto un drastico ridimensionamento (da +1,3% a +0,9%). Davanti ad un sempre più evidente rischio di deflazione generalizzata nell’intera area euro, unito a quello della crescita stagnante e di un mercato del lavoro ancora in grossa difficoltà, Draghi ha deciso di portare in territorio ancora più espansivo la politica monetaria della Bce, con l’obiettivo di riportare il livello di inflazione vicino al 2%, la soglia ritenuta ottimale dalla banca centrale.

 

La speranza è che il costo applicato sui depositi delle banche presso la Bce e la condizionalità delle nuove aste di liquidità possano far ripartire il circuito del credito verso le imprese, evitando di incorrere nell’errore, fatto in passato dalla banca centrale, di concedere liquidità alle banche che veniva utilizzata solamente per acquistare titoli di Stato. Tuttavia, i risultati sperati potrebbero essere completamente disattesi dalle scelte delle banche.

 

Innanzitutto, i maggiori costi sui depositi potrebbero essere addossati interamente sui risparmiatori, attraverso un aumento dei costi dei conti correnti. Secondariamente, le banche potrebbero lo stesso rifiutarsi di prestare denaro alle imprese preferendo di nuovo acquistare titoli di Stato anche a costo di pagare la penalità per la mancata concessione di credito prevista dal regolamento delle aste. Se così fosse, l’eurozona entrerebbe nella situazione di trappola della liquidità ipotizzata dall’economista Keynes, nella quale il Giappone si trova già da diversi anni.

 

Certamente è troppo presto per capire quale dei due effetti prevarrà. Di certo, la mossa di Draghi potrebbe voler raggiungere anche un altro obiettivo, non dichiarato ma per questo non meno importante: quello di indebolire l’euro nei confronti del dollaro. Nonostante la Banca Centrale non possa prefissarsi obiettivi di rapporto di cambio (è imposto dai trattati europei), è altrettanto evidente che l’euro forte sta penalizzando fortemente l’export europeo. Del resto, Draghi si è sempre dimostrato un maestro nel prendere decisioni sul filo del perimetro di operatività concesso dai trattati europei alla sua istituzione.

 

Infine, è giusto considerare quali possano essere i possibili effetti sui titoli di Stato e sulle Borse. Per i primi, la mossa di ieri non è una buona notizia, in quanto i rendimenti del mercato obbligazionario, pubblico e privato, dovrebbero quasi certamente ridursi.

 

Diverso il discorso per i mercati azionari, i quali, proprio a causa della perdita di appetibilità delle obbligazioni, dovrebbero vedere un ulteriore rafforzamento, dopo la corsa al rialzo registrata nei primi mesi del 2014.

Il settore bancario dovrebbe registrare un nuovo rafforzamento del valore azionario. Non certamente una cattiva notizia, considerando le necessità di ricapitalizzazione che si trova ad affrontare a breve.

Per approfondire su VOGLIAMO UNA BCE
CON GLI STESSI POTERI DELLE ALTRE BANCHE CENTRALI MONDIALI

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