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RENZI. Ovvero il mandarino arrogante. La risposta dalla Cina data a Maroni su Expo dimostra la deriva autoritaria del premier. È l’opposto di Berlusconi, è la negazione del moderatismo. Ribadiamo: governo di salute pubblica o riforme impossibili

 
 

Renzi

Due piccoli grandi episodi sintetizzano lo stato della democrazia in Italia. Dicono tutto di chi ci governa senza aver avuto mandato elettorale diretto.

1)   Maroni, Presidente della regione Lombardia, il quale occupa quel posto perché c’era il suo nome sulla scheda, scelto perciò dai cittadini lombardi, ha fatto una osservazione elementare e cortese: “Il governo si dia una mossa nel dare poteri al commissario contro la corruzione, altrimenti rischiamo di non ultimare i lavori prima dell’Expo”. E cosa doveva dire Maroni? Renzi va’ piano; chi va piano, va sano e va lontano? Il premier era venuto un mese fa a spiegare che si doveva correre, fare in fretta, poi non ha deciso nulla salvo inondarci di promesse. Renzi dalla Cina invece di rassicurare, attacca Maroni: “Pensi alle responsabilità della Lombardia”. Un’arroganza da Viceré di Maracaibo, Indecente.

2)   Il senatore Mario Mauro è esponente dei Popolari per l’Italia, fuoriuscito da Scelta Civica, e ha il torto di guardare ad un futuro di alleanze con il centrodestra. Sul Senato dice quello che pensa ogni uomo di buon senso, e vota di conseguenza, da membro della Commissione Affari Costituzionali. Ha già votato a favore dell’ordine del giorno Calderoli. Non vuole un dopolavoro per sindaci rossi. Che fa il tandem Renzi-Boschi? Discute con lui, cerca di sentirne le ragioni? Ma no. Lo fa sostituire dando ordini a Casini di operare una manovra di palazzo. Renzi riesce a essere golpista anche a casa degli altri.

E’ con un uomo così che abbiamo a che fare. Non c’entra niente con Berlusconi, non rispetta le persone, non ha nulla del moderato.

La questione non è di poco peso nel dettare l’agenda del rilancio di Forza Italia, che per noi coincide con la riscossa non di un partito ma della democrazia  e della prosperità dell’Italia intera.

Premessa.

Il gioco è aperto. E non ci vede affatto perdenti. Abbiamo una esperienza di traversata nel deserto, assolutamente significativa e vincente. Accadde tra il 1996 e il 2001. Ristabilimmo l’alleanza vincente con la Lega. Elaborammo un programma di vera rivoluzione liberale.

Dopo i primi colpi negativi successivi alla vittoria di Prodi in alcune elezioni amministrative intermedie, invertimmo la rotta, facemmo esplodere le contraddizioni interne allo schieramento di sinistra, senza far mancare il nostro appoggio responsabile nelle rilevanti questioni di politica estera. Prendemmo Bologna, trionfammo nelle europee e nelle regionali. Ci fu anche allora un tavolo di riforme condivise, una trappola che Berlusconi scardinò.

Non diciamo questo per darci il coraggio della nostalgia. Ma perché è il caso di spazzar via le incertezze strategiche e tattiche. Con un colpo di scopa bisogna levarci di torno le ragnatele dei distinguo, delle riforme selettive questa-con-voi, quest’altra-no, che Renzi ci mette tra i piedi per lasciarci in mezzo al guado, alla fine corresponsabili dei suoi fiaschi annunciati, senza poter incidere sulla sostanza della vita quotidiana della gente.

Qualche punto fermo e una premessa. La premessa è la contemporaneità sinergica dei contenuti che seguono.

Non c’è da mettere a posto prima il partito e poi il programma, infine le alleanze eccetera. Sono tutte dimensioni del nostro presente, nella certezza della leadership di Berlusconi.

1)  NAZARENO. Il Patto o si rafforza o si manda a ramengo. O diventa un dialogo sullo stato di salute dell’Italia e sui rimedi necessari, vuoi economici vuoi istituzionali, o è una discussione se usare una aspirina o due per curare il cancro. Grazie, l’Italia non ha bisogno di sapere se il Capo dello Stato deve nominare cinque o dieci senatori per il dopolavoro senatoriale.

Il nostro disegno è, dal punto di vista delle riforme costituzionali, quello che ha il suo vertice, da cui tutto discende, nel presidenzialismo. E che è incompatibile con l’Italicum.

Di certo non ha senso perdersi nelle quisquilie da dopolavoro in gita senatoriale. Indebolisce non solo la nostra immagine ma demoralizza la gente, che ci vede discettare alla maniera di Bisanzio con i saraceni alle porte di Costantinopoli. Uccide il nostro fascino di proposta.

2)  GOVERNO DI SALUTE PUBBLICA. Un discorso serio sulle riforme non può vederci di fatto in maggioranza con Renzi su Senato e legge elettorale, ed esclusi dalle questioni del pane quotidiano, del lavoro e della giustizia. O così o Pomì, per usare una formula del carosello caro a Renzi. Siamo consapevoli che è già pronta l’accusa trita: Berlusconi non rispetta i patti, come con D’Alema alla bicamerale. Altro che non rispetto dei patti. Ci sono patti leonini, che negano se stessi, si rivelano in corso d’opera azzardi incongrui. O governo di salvezza nazionale od opposizione senza mediazioni. Ricordiamo che nel 1997 ci fu rottura non per slealtà nostra, ma per la chiara evidenza di una contraddizione insanabile, che avrebbe comportato, protraendosi, una slealtà verso i nostri elettori. Non si poteva accordarsi sulle riforme nel “forno” della Bicamerale, e dover sopportare scelte politiche del governo Prodi che le negavano e ammazzavano la nostra economia e il nostro ceto medio. Prodi usava la bicamerale come sala giochi per farci sfogare, e come alibi per usare il secondo forno per cuocere pane avvelenato da dare agli italiani. Non funziona così la democrazia.

3)  PARTITO–MOVIMENTO. Rilancio. Attraverso:

     a) l’istituzione di un organo esecutivo centrale;

     b) congressi comunali e via via fino al vertice;

     c) primarie sperimentali di coalizione a partire dalla  Calabria;

     d) stati generali per elaborare proposte e contenuti.

4)  La condizione per i tre punti precedenti è uno stato di mobilitazione generale che comincia ora. Esiste un calendario delle prove elettorali, che pubblichiamo di seguito. Al primo posto sono le regionali calabresi, tra ottobre e novembre. Si inizia ora a lavorarci. Non c’è tempo da perdere. Come diceva Oriana Fallaci a proposito dell’Occidente, imitando Cassandra: “Troia brucia! Troia brucia!”. Così l’Italia. Non c’è un istante da perdere. Abbiamo il leader, la lunga marcia esige che non ci si fermi a discutere su chi comanda la traversata, somiglierebbe a intelligenza con il nemico. C’è! Lungo la strada emergerà, nel fuoco della prova, chi è in grado di affiancarlo al meglio.