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ECONOMIA. Tasse e ancora tasse. L’incredibile Renzi confessa di non aver capito la Tasi. Gli italiani sì: è un furto. Renzi ruba a sua insaputa. Porta via con gli interessi la mancia di 80 euro e uccide il ceto medio

 
 

 

Nel confronto con gli imprenditasse-tassetori veneti, Matteo Renzi ha confessato, candidamente, di non aver compreso esattamente il meccanismo della TASI. Per la verità non è l’unico, visto che questa nuova tassa – per i servizi indivisibili – è l’esatto doppione dell’addizionale IRPEF. In altre parole paghiamo due volte per le stesse finalità: mensilmente con il prelievo addizionale e in corso d’anno con un salasso aggiuntivo.

Renzi dovrebbe quindi informarsi e, se del caso, provvedere. Onde evitare un pragmatismo a senso unico: pronto a dare qualcosa, come nel caso del bonus fiscale al suo potenziale elettorato, salvo riprendersi, e questa volta con gli interessi, quanto in precedenza anticipato.

Sembrerebbe un gioco a saldo zero. Ed invece non è proprio così, visto che ad alcuni si dà, mentre ad altri si toglie. Con un disegno lucido nelle sua sostanziale ingiustizia: tosare la media borghesia a vantaggio di chi gli ha garantito quel 40,8 per cento che è divenuta la cifra del suo successo. Storie di ordinaria follia, che fanno strame dei precetti costituzionali.

Dov’è finito il rispetto dell’articolo 3: principio di uguaglianza? Se sei un povero diavolo a partita IVA, che cerca di sbarcare il lunario con mille lavoretti precari, non hai alcun ristoro.

Se sei un dipendente pubblico, invece, hai avuto la tua piccola dose di felicità.

Ed ancor meglio ti è andata se, in famiglia, sono in due a lavorare. Mentre se sei solo ed hai a carico moglie, figli e anche la suocera, devi solo tirare la cinta.

Stesso ragionamento per quanto riguarda l’articolo 53, che sancisce il principio della progressività del carico fiscale. Anche in questo caso redditi di pari entità sono trattati diversamente. Il che è un evidente controsenso.

In questa corsa ad ostacoli per far quadrare il cerchio si è fatto ricorso ad uno stratagemma. L’obolo concesso è stato considerato un bonus. Ha natura temporanea e nessun effetto strutturale. Ne deriva che chi ne ha beneficiato si guarderà bene dal cambiare le sue abitudini di spesa.

Come insegnava David Ricardo, qualche secolo fa, sono le aspettative di produzione futura di reddito ad orientare le aspettative. Se la misura è solo provvisoria, meglio non fare affidamento sul possibile beneficio.

Dato questo groviglio di contraddizioni, si resta solo in attesa del responso dell’Eurostat che non calcolerà quella misura ai fini della riduzione del carico fiscale, ma solo come aiuto alle famiglie, nella formula contraddittoria che abbiamo indicato.

Insomma, la si metta come si vuole, ma anche sul semplice terreno della distribuzione del reddito le uniche misure concrete, finora adottate, fanno acqua da tutte le parti. Ed intanto famiglie ed imprese subiscono il salasso quotidiano.

Che non è dato solo dall’enorme esborso fiscale. Sono le complessità amministrative, che accompagnano il pagamento del sottratto, a stressare ancor di più il povero contribuente.

Per adempiere a quel dovere, secondo le valutazioni della CGIA di Mestre, impieghiamo in un anno ben 269 ore: quasi 33 giorni lavorativi. Il tutto accompagnato dalla paura di sbagliare una virgola e quindi essere costretti al successivo duro confronto con l’Agenzia delle Entrate. Che, com’è noto, non va molto per il sottile.

Da questo punto di vista il 16 giugno è stato uno dei giorni più neri. I versamenti previsti ammontano a circa 55 miliardi: quasi 3,5 punti di PIL.

Ma quel che più sconcerta è il menu fiscale che accompagna i diversi adempimenti: versamento delle ritenute IRPEF da parte dei datori di lavoro, IRPEF dei lavoratori autonomi, IRPEF saldo e acconto del singolo contribuente, IRES, addizionale IRPEF, IRAP, diritti Camere di commercio, IVA, Imposte sostitutive di rivalutazione, TARI, IMU e TASI.

Basta il semplice elenco a dimostrare quella sorta di sadismo su cui poggia il nostro sistema fiscale. Che non trova riscontro in nessun Paese europeo. Nella stessa Francia, in cui il carico fiscale è superiore al nostro come corrispettivo di servizi pubblici di qualità mille volte superiore, vige il principio che le imposte sono versate su un precompilato dell’amministrazione finanziaria, con un click sul proprio computer.

Matteo Renzi ha promesso che disboscherà questa giungla. Come ha promesso mille altre cose. Siamo in fiduciosa attesa. Nel frattempo, tuttavia, il salasso continua, in attesa che il Presidente del Consiglio capisca, dopo aver studiato, il mistero della TASI.