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RENZI. Le sue illusioni. La Germania non mollerà su rigore e austerità. Per contrastare l’egoismo tedesco occorre la forza di riforme vere di lavoro e fisco, fatte e non annunciate. Ma non se ne vede l’ombra

 

Renzi Trick

Quò Matteo Renzi riuscire dove hanno fallito organismi internazionali, del calibro del FMI, o grandi potenze come gli Stati Uniti? Glielo auguriamo nell’interesse degli italiani, ma il nostro scetticismo rimane elevato. Fondato, com’è, sulla conoscenza dei mille episodi che, per lungo tempo, hanno caratterizzato l’atteggiamento tedesco. La cui determinazione, nel difendere quel rigore finanziario che è elemento costitutivo della sua lunga storia, rappresenta un bastione, che sembra inespugnabile. Gli episodi che potremmo ricordare sono un’infinità. Ma qui ci basta rinverdire un vecchio scritto di Fabrizio Saccomanni (“Il cammino della lira da Bretton Woods all’euro”) a proposito della precedente grande crisi che mise in ginocchio lo SME – il sistema monetario europeo agli inizi degli anni ’90 – determinando il crollo della lira e della sterlina.

L’Italia aveva dato la sua disponibilità a svalutare la lira. Chiedeva tuttavia un allentamento della restrizione monetaria, operata dalla Germania, e resasi necessaria per contrastare le pressioni inflazionistiche, dovute alla riunificazione del Paese. “L’esito sarà che la lira si svaluta” inizialmente e prima del definitivo crollo al 30 “del 7 per cento, tutte le altre parità restano invariate” – salvo cadere in seguito – “la Germania riduce il tasso di sconto di un minuscolo quarto di punto”. Nonostante che, aggiungiamo noi, i precedenti accordi di Basilea-Nyborg, tra le diverse Banche centrali, avessero previsto meccanismi simmetrici di intervento. I Paesi più forti dovevano avere politiche economiche che non entrassero in conflitto  con le esigenze delle economie più deboli.

Solo pochi mesi prima – ironia della sorte – era stato firmato il Trattato di Maastricht che prevedeva l’adozione della moneta unica entro la fine del decennio. Ma i tedeschi, nella difesa intransigente dei loro interessi nazionali, non esitarono a determinare il crollo di quel sistema – quello monetario appunto – che doveva rappresentare in nuce la nuova moneta. Cos’è cambiato da allora per giustificare un eventuale ripensamento? Abbiamo una Germania più forte ed orgogliosa dei successi conseguiti. Convinta che la ricetta finora seguita ed oggi riproposta con forza da Schauble, il ministro delle finanze, e da Weidmann, governatore della Bundesbank, sia quella più appropriata.

Che lezione trarre da questi episodi? Più che chiedere, nelle relazioni internazionali, è necessario imporre il proprio punto di vista, avendo la forza per farlo. Questo è il vero limite della posizione italiana: la sua debolezza. La sua incapacità di realizzare quelle riforme che sono indispensabili per la ripresa della sua economia. Riforme rivolte al mercato in grado di aumentare un potenziale produttivo che le mille rigidità – mercato del lavoro, fisco, presenza ossessiva di una pubblica amministrazione pletorica ed inefficiente, giustizia e via dicendo – hanno depresso, fino al punto di bloccare il meccanismo di accumulazione. Che può piacere o meno, ma è l’unico sistema in grado di resistere ad un appiattimento senza prospettive.

Di queste cose il PD – non si dimentichi che Matteo Renzi ne è anche il segretario – non discute più. Nonostante i tentativi di grandi vecchi, come Alfredo Reichlin, che cerca, seppure in modo fumoso, di mantenere viva la fiammella di un possibile dibattito interno. Eppure sono questi grandi temi che possono scuotere un Paese che sembra destinato, come ha certificato il centro studi di Confindustria, a produrre una crescita del PIL, per l’anno in corso, di appena lo 0,2 per cento. Contro le immaginifiche previsioni dei documenti governativi, che indicano il magnifico – si fa per dire – traguardo dello 0,8 per cento.

Situazione paradossale, quindi. Renzi si balocca con riforme, di cui non sottovalutiamo la portata, ma che hanno una dimensione esclusivamente domestica che interessa poco sia la maggior parte dei cittadini italiani, avvolti nella spirale della crisi, sia i nostri partner internazionali. Può andare avanti sulla sua strada, fagocitando pezzi del ceto politico, ma prima o poi i nodi verranno al pettine. E con essi le prime docce fredde, destinate a raffreddare ogni ardore giovanile.