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SENATO. Il gioco comincia a farsi duro. Oggi partono le votazioni degli emendamenti. Diciamo no all’assurdo di un Capo dello Stato eletto con votazioni non di secondo grado ma addirittura di terzo grado. Altro che presidenzialismo, saremmo al suo perfetto contrario, all’antipresidenzialismo

 

 

RIFORME

A scanso di equivoci, e pur disposti a cambiare idea, martelliamo anche oggi la nostra convinzione consolidata da pochi fatti e molti misfatti, tante parole e zero risultati.

Da Renzi un’auto usata non la compreremmo mai, tanto meno una riforma che dovrebbe fornire una macchina nuova e senza collaudo per far marciare la democrazia in Italia: il Senato dei nominati dai sindaci e dalle Regioni.

Oggi si comincia a votare, alla Commissione Affari Costituzionali del Senato, sugli emendamenti al disegno di legge confezionato dai relatori Finocchiaro-Calderoli sulla base del testo del ministro Boschi. Per ora siamo al palleggio di riscaldamento. Il gioco si farà duro presto. Duro non nel senso del preconcetto e tantomeno dell’inimicizia tra squadre che pugnano l’un contro l’altra armate sulla base di schieramenti.

Gioco duro perché qui c’è in ballo non il galateo con relativo inchino a Patti che in realtà parlavano d’altro, ma la stoffa della nostra democrazia, l’architettura dello Stato. Non sono cose da votare pressappoco con la scusa che siamo alla prima lettura, e ce ne sono quattro in tutto, dunque un ritocco sarà sempre possibile. Pericolo mortale.

Gli italiani infatti si arrabbierebbero a ragione se cominciassimo a far rimbalzare una riforma che mette in questione radicalmente un ramo del Parlamento per sei o sette volte. Occorrono infatti due letture conformi da parte di Camera e Senato.

E se cambia qualcosa si rifà da capo. Meglio lavorare fissando subito quelli che riteniamo i paletti inderogabili per modernizzare e velocizzare l’approvazione delle leggi, senza però rendere fiacca la democrazia.

Noi saremo fissati, ma ne va di noi stessi, del rapporto di fiducia che abbiamo con i nostri elettori, cui abbiamo promesso una riforma dello Stato che desse poteri reali di decidere a chi è scelto dal popolo (elezione diretta del Presidente della Repubblica), con la conseguente e logica cascata di contrappesi, come insegna l’abc delle democrazie occidentali.

Dunque possiamo accettare una riforma del Senato che sia compatibile con quel disegno. E questa non lo è. Per diverse e forti ragioni. Tra tutte, ce n’è una sesquipedale.

La riforma Boschi-Calderoli-Finocchiaro dà ai rappresentanti delle Regioni e dei sindaci trasformati in senatori in gita, anche il potere di grandi elettori del Capo dello Stato.

Per cui avremmo un Presidente della Repubblica non eletto direttamente come vogliamo, e neanche eletto in secondo grado come oggi, ma addirittura con votazioni di terzo grado.

Qualcuno provi a dire che così la gente è più vicina al Palazzo. Se si accetta l’impostazione del governo andrebbe così: i cittadini votano i consiglieri regionali e i sindaci, i quali votano i senatori, che, a loro volta, sulla base di indicazioni di partiti e di correnti, ma più spesso di convenienze personali, infilano nell’urna il nome del prediletto.

Una roba così non esiste al mondo. Altro che presidenzialismo, qui siamo all’antipresidenzialismo. Dal bicameralismo perfetto all’antipresidenzialismo perfetto.

 

Ma questa è una tra le obiezioni che poniamo sul tavolo oggi, perché non abbiamo carte segrete, fogli volanti e trasmessi in sintesi per sms. E di questo si discuterà giovedì tra parlamentari di Forza Italia davanti e con la guida del Presidente Berlusconi.

Niente fretta. Come si usa dire: meglio nessun accordo di un cattivo accordo. Se poi l’accodo è buono, allora fantastico, daremo agli italiani una macchina garantita dalla nostra serietà.