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ECONOMIA. Il nostro contributo di idee, leale e forte, per abbattere il debito pubblico. Tre strade. Compatibili con le proposte di Delrio. Ma adesso il governo agisca e non si trastulli su flessibilità e inflessibilità

 

 

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Dopo la sbornia del Consiglio europeo della scorsa settimana (ricordiamo tutti i canti di vittoria di Mario Monti 2 anni fa, quando tornò dallo stesso vertice di giugno a Bruxelles entusiasta di aver fatto passare in Europa il cosiddetto “scudo anti-spread”, fallito subito dopo), il governo, per bocca del sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Graziano Delrio, sembra essere tornato con i piedi per terra: flessibilità o non flessibilità, il problema dell’Italia è il debito. E su questo bisogna intervenire.

Le strade, che Forza Italia ha proposto da tempo, certamente compatibili con le intuizioni e le aperture del sottosegretario Delrio, sono tre, e possono essere percorse tutte insieme, in parallelo:

1)    Emissione di Eurobond garantiti dalla Banca Europea degli Investimenti (Bei), per finanziare investimenti in infrastrutture, in ricerca e sviluppo, innovazione, capitale umano. La capacità di intervento della Bei verrebbe potenziata attraverso l’istituzione di un Fondo di garanzia ad hoc, la cui capitalizzazione sarebbe a carico dei singoli paesi secondo diverse formule, con un punto fisso: i fondi trasferiti dagli Stati membri alla Bei non rientrano nel computo del 3% del rapporto deficit/Pil (Il Riformista, 11 febbraio 2005);

2)    Attacco al debito pubblico italiano: vendita di beni patrimoniali e diritti dello Stato disponibili e non strategici ad una società di diritto privato, che emette obbligazioni con warrant. Obiettivo: portare sotto il 100% il rapporto rispetto al Pil in 5 anni (Il Sole 24 ore, 10 agosto 2012);

3)    Utilizzando lo strumento dei “Contractual agreements”, negoziare con la Commissione europea le risorse necessarie per l’avvio di riforme volte a favorire la competitività del “sistema Italia”, che aumentino la produttività del lavoro e di tutti i fattori produttivi, e che contemplino la riduzione della spesa pubblica e la riduzione della pressione fiscale (Il Giornale, 17 febbraio 2014).

Su questi punti si gioca la credibilità dell’Italia in Europa e sui mercati. Su questi punti tutte le forze politiche sono chiamate a riflettere insieme. La nuova strategia di politica economica non deve essere solo di ingegneria finanziaria, ma deve avere in sé tutta la forza, tutta l’etica, di un cambio di passo, di uno shock economico finanziario finalizzato alla crescita e alla credibilità della nostra finanza pubblica.

Perché attraverso meno debito si realizza più mercato, minore pressione fiscale, nuovi investimenti, più capitalismo, più competitività, più occupazione, emersione del sommerso, più responsabilità, più credibilità.

Diventare europei nel debito significa diventare europei a 360 gradi.

Nei mercati, nelle banche, nella finanza, nelle relazioni industriali, nella giustizia, nella politica. Insomma: mettere fine al non più sopportabile compromesso consociativo che dal dopoguerra ha soffocato e soffoca il nostro Paese. Compromesso diventato incompatibile tanto rispetto alla finanza globale quanto rispetto a questa Europa dell’euro che mal ci sopporta.