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EUROPA. Il Renzi che chiede all’Ue flessibilità è lo stesso che, disattendendo le raccomandazioni di Bruxelles, non fa nulla per rendere flessibile in Italia il mercato del lavoro. Il suo Jobs Act o tocca l’art.18 o è una finzione in onore della Cgil

 

 

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Quasi nessun giornale ha scritto che tra le 8 raccomandazioni inviate dalla Commissione Europea all’Italia lo scorso 2 giugno quella più importante, relativa al mercato del lavoro, impone all’Italia di risolvere, tramite una riforma urgente, il secolare dualismo tra lavoratori insiders e outsiders. Ovvero tra lavoratori ipertutelati dal punto di vista contrattuale e lavoratori precari, ad elevato rischio di esclusione dal mercato e dalla società.

La raccomandazione contiene anche una implicita riflessione sulla necessaria riforma della pubblica amministrazione, dal momento che gli insiders di cui parla la Commissione sono soprattutto i lavoratori pubblici, statisticamente anziani e con un basso livello di produttività, e gli outsiders sono rappresentati da una buona parte dei lavoratori del settore privato, molto spesso giovani, precari e con un livello di istruzione sopra la media. Un sistema, questo, che decisamente contribuisce a slegare il rapporto tra salario e produttività, che in una economia funzionante ha una relazione positiva. Altrimenti, ciò che si ottiene sono delle posizioni di rendita, quanto di più nocivo può esistere per una economia di mercato.

La pesante dicotomia di trattamento normativo, che si risolve in una forte iniquità dal punto di vista reddituale e sociale, è stata generata dall’aver creato per anni un sistema dove i contratti sono pubblici, oppure centralizzati e negoziati tra le associazioni sindacali e i datori di lavoro. Quando la Commissione scrive che l’Italia deve cambiare il “quadro di contrattazione salariale sulla creazione di posti di lavoro” e “sulle procedure di licenziamento” sta pensando alla riforma della contrattazione decentralizzata di diritto privato, ai contratti aziendali, al superamento dell’articolo 18 e allo snellimento delle procedure di licenziamento per i dipendenti pubblici.

Inoltre, la Commissione suggerisce di limitare l’uso della cassaintegrazione, che in Italia ha perso la sua funzione originaria, quella di tutela temporanea per far fronte ad una situazione di difficoltà lavorativa, diventando una sorta di assegno di lungo periodo che disincentiva la ricerca di una nuova occupazione. Anche in questo caso, ciò che si ottiene è una pesante frattura tra ex-lavoratori tutelati e giovani disoccupati che non ricevono alcun sussidio. Non c’è poi da stupirsi se i livelli di diseguaglianza del reddito che si verificano in Italia sono tra i più elevati al mondo. Il tema della “tutela sociale dei disoccupati” è quindi molto caldeggiato dalla Commissione.

Cos’ha fatto finora il governo Renzi per venire incontro a queste raccomandazioni? Praticamente nulla. Possiamo facilmente osservare il fallimento nel raggiungimento degli obiettivi posti da Bruxelles. Paradossale, ad esempio, è la richiesta di maggior flessibilità avanzata dal premier all’Europa, quando il suo governo è il primo che in cambio non offre la maggior flessibilità che l’Europa chiede. Tanto per essere chiari, la proposta di Jobs Act che egli ha presentato è lontana anni luce dalle richieste europee. Il contratto di lavoro a tutele crescenti che egli vorrebbe introdurre non rappresenta infatti il modello di flessibilità del mercato del lavoro che l’Europa ha in mente.

Il modello europeo è invece orientato alla coesistenza tra contrattazione pubblica e privata, alla decentralizzazione salariale, alla possibilità concessa a lavoratori e datori di incontrarsi spontaneamente e liberamente sottoscrivere un contratto su misura delle esigenze di entrambi, svincolato dalle gabbie normative e dirigiste tipiche dei contratti centralizzati.

Il tema della decentralizzazione salariale non è mai stato affrontato dal premier, evidentemente perché egli sa che l’affrontarlo vorrebbe dire dover scontrarsi con tutte le confederazioni sindacali, non solo la Cgil. Meglio quindi far finta di introdurre maggior flessibilità, semplicemente cambiando il numero di volte che un contratto a tempo determinato può essere prorogato. Misura che sul mercato del lavoro ha avuto un impatto pari a zero.

La Germania ha dimostrato che facendo queste riforme, l’occupazione e la produzione possono aumentare. Idem la Spagna. Il coraggio riformista di questi due paesi ha premiato, nel lungo periodo. Un coraggio che Renzi non ha mai avuto e che, guardando i testi dei suoi decreti, continua a non avere. Senza questo coraggio è persino scorretto chiedere all’Europa di concedere altri spazi per procrastinare lo status quo.