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DECADENZA. Letta dica di sì o no alla morale e alla giustizia

 

LETTA

 

 

La sentenza della Corte d’Appello di Milano si chiama, in filosofia, eterogenesi dei fini. Più popolarmente, i magistrati hanno fatto come i pifferi di montagna, che partirono per suonare e tornarono suonati.Infatti, per far valere la condanna aggiuntiva dell’interdizione a Silvio Berlusconi finiscono per rendere inapplicabile retroattivamente la sentenza Berlusconi. Il diavolo sta nei particolari, ma qualche volta – come scrisse Gustav Flaubert – anche Dio. Il Dio della giustizia.

 

Tutto questo renderebbe più facile ad Enrico Letta la scrittura di una norma interpretativa per cui basterebbe una riga. Lo spiega Silvio Berlusconi a Bruno Vespa con trasparente e motivata richiesta. Lo sventurato rispose. E rispose di no. Siccome abbiamo stima di Letta aggiungiamo un incoraggiante per ora”. Risponde di no per ora. Ma sbaglia, eccome. Infatti sostiene Letta che “il governo ha ottenuto ampia fiducia il 2 ottobre per restare separato dalle vicende giudiziarie di Berlusconi”. Non è una vicenda giudiziaria ma politica e morale proporre un decreto che renda immediatamente operativo quello che la Corte europea di Giustizia del Lussemburgo statuirà di certo, ma quando sarà troppo tardi per rimettere insieme i cocci delle larghe intese con annessa pacificazione nazionale.

 

Così come è politica e morale la scelta che si sta consumando di far decadere Berlusconi da senatore. L’aula è chiamata ad esercitare il più alto compito che la politica assegna: stabilire cioè se la sovranità popolare che ha scelto di farsi rappresentare da un leader possa essere cancellata dall’applicazione retroattiva di una legge confusa, mentre questo leader è alleato della principale forza che lo vuole cancellare dalla politica.

A meno che Letta intenda per “vicenda giudiziaria” l’allestimento di una forca in Senato.

 

 

Ci ripensi Letta.

 

PER APPROFONDIMENTI, CONSULTA “IL MATTINALE – 30 ottobre 2013”