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RENZI. Un liceale in Europa. Le emozioni omeriche non commuovono la Germania del rigore. Invece di buttarla sulla flessibilità, avrebbe dovuto convincere i tedeschi delle loro colpe di oggi: esportano troppo, uccidendo gli altri; tengono alto il cambio dell’euro, bloccano la Bce

 

Cattura

L’aula di Palazzo Charlemagne, a Strasburgo, è una grande sala circolare che, nella sua struttura, ricorda l’architettura di un grande teatro greco. Sarà forse a causa di questa suggestiva visione che Matteo Renzi ha evocato il mito di Telemaco, figlio di Ulisse. Con un effetto comunicativo di grande impatto. Un esercizio retorico indubbio. Sennonché di Telemaco si parla soprattutto nell’Odissea di Omero. Ed allora resta da capire se non sarà, alla fine, il contesto generale dell’opera che prenderà il sopravvento sulla vita dei singoli personaggi. Perché, se così fosse, quell’odissea, appunto, non sarebbe un buon viatico per le speranze italiane.

Le risposte alle suggestioni classicheggianti del Presidente italiano hanno determinato una netta contrapposizione retorica. Abbandonato ogni spunto aulico, la domanda che è risuonata ha avuto la durezza della concretezza. I Trattati esistenti, fin quando non saranno modificati, non consentono deroghe. La flessibilità è quella indicata nelle tavole della legge. Quindi l’Italia faccia quel che deve fare, in termini di riforme, e non si illuda di poter strappare concessioni che già ad altri non sono state accordate. Del resto su questa linea del Piave erano stati già sconfitti altri autorevoli rappresentanti del nostro Paese. Era stato Romano Prodi a parlare della “stupidità” del Patto di stabilità e crescita. Oggi l’ex Presidente della Commissione europea si gode un meritato riposo, mentre quelle regole sono ancora lì. Nemmeno fossero scritte sul granito.

Passata l’onda emotiva, che scalda il cuore ma non la mente, conviene interrogarsi se sia stato quello l’approccio migliore. Matteo Renzi aveva dalla sua alcune frecce che non ha ritenuto utili lanciare. La crisi europea non è un incidente della storia. Nasce invece da politiche seguite dai Paesi leader e dalle loro contraddizioni.

Quando la Germania si presenta sulla scena con un attivo delle partite correnti della bilancia dei pagamenti pari ad oltre il 6 per cento del PIL, questo rappresenta, oggettivamente, un elemento di destabilizzazione, che rischia di mandare in tilt l’intera economia dell’Eurozona. Misurarsi con questo problema, in una sede solenne come quella di Strasburgo, avrebbe, forse, rovesciato un vecchio luogo comune. E dimostrato che le colpe non sono solo da una parte. Soprattutto sarebbe stata la risposta migliore a chi come Weber, esponente del PPE tedesco, è solo capace di ripetere: austerità, niente altro che austerità.

Basterebbe questo accenno, che non è solo autodifesa. Il vero nodo della cattiva congiuntura europea è dato dalle asimmetrie che derivano dal comportamento tedesco. Se quell’economia non reflaziona, ogni tentativo di voltare pagina, nel senso dello sviluppo, è destinato al fallimento.

E l’approdo deflazionistico, quasi inevitabile. Riflesso immediato di quella politica è infatti l’anomalo rafforzamento dell’euro nei confronti delle altre monete. E quindi il debole sostegno della domanda estera alla crescita complessiva. In una fase in cui il rallentamento intervenuto nella dinamica del commercio internazionale – si veda in proposito le ultime previsioni ISTAT sul secondo trimestre dell’anno – rischia di bruciare quel piccolo sussulto che sembra registrarsi nell’andamento dei consumi interni.

Ma non basta. L’effetto traslato di quella politica è dato dai vincoli posti alla politica monetaria, che non riesce a trasmettere, nonostante la grande liquidità, impulsi uniformi per i diversi Paesi. Al contrario essa alimenta ulteriori asimmetrie. Favorisce nuovamente la Germania, che può indebitarsi a tassi molto più bassi, mentre i Paesi, che crescono meno, sono stretti nella morsa del credit crunch,  e subiscono un onere maggiore a causa del maggior premio per il rischio. Mario Draghi ha cercato, in ogni modo, di correggere queste distorsioni. Lo ha fatto non per favorire i Paesi più indebitati, ma solo per dare coerenza al suo mestiere di banchiere centrale. Avremmo voluto sentire almeno una parola in difesa dell’autonomia e dell’indipendenza della BCE, contro le pressioni della Bundesbank e dei falchi che ne osteggiano il ricorso a pratiche non convenzionali.

Esisteva poi una variante alle resistenze poste ad ogni ipotesi di rilancio economico. Porre la secca alternativa. Se la reflazione non si vuole portare avanti, allora si ricorra a formule di condivisione dei debiti sovrani, mediante emissioni di bond garantiti dalle Istituzioni europee, tra cui la Banca europea degli investimenti.

Un compromesso minimo su cui chiamare a raccolta i parlamentari dei diversi Paesi e quindi dare forza effettiva al ridisegno delle regole europee.

Discorsi, come si vede, molto meno evocativi ed accattivanti. Ma discorsi veri se l’obiettivo è quello di contribuire effettivamente alla soluzione dei problemi. E non il protagonismo dell’attore giovane sul palco del grande teatro di Palazzo Charlemagne.