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RENZI. Un appello perché rinunci al “durissimo no” al buon senso. Il Parlamento non è un fast food dove ingoiare le riforme come patatine fritte. Proponiamo con argomenti dirimenti il nostro “uovo di Colombo”. Urge una parola del Capo dello Stato

 

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Sulla riforma costituzionale del Senato ieri “Il Mattinale” ha proposto l’uovo di Colombo. Un’idea di buon senso, persino somigliante alla scoperta dell’acqua calda.

La trovate, rigorizzata giuridicamente, più avanti. Ci ha mosso l’intento di trovare la via più semplice per superare le divisioni esistenti al Senato tra le forze politiche, dando legittimità ai senatori del nuovo conio con il voto diretto dei cittadini, ma sempre nell’alveo delle elezioni dei consiglieri regionali.

Sarebbero cioè insieme consiglieri regionali e senatori i candidati che ottenessero più consensi, modificando all’uopo le leggi elettorali regionali.

Oggi troviamo virgolettato sulla prima pagina del “Corriere della Sera” una specie di risposta che prende dentro, come una rete a strascico, tutto quel che esula da quanto già stabilito nelle stanze alte di Palazzo Chigi. Insomma: non si tocca niente.

Che fare?

Sappiamo bene che i rapporti di forza giocano a favore di Renzi. La Lega è prona, e il premier può fare a meno (forse) del consenso di Forza Italia al Senato. Ma la questione decisiva, su un tema di così importanti implicazioni per la democrazia, non può e non deve essere impostato sui rapporti di forza.

Nessun ricatto: non ci tireremo indietro, e in ogni caso ci affidiamo alla lungimiranza di Berlusconi. 

 

Per questo chiediamo a Renzi di riflettere, di non correre. Corra sull’economia, sul lavoro, sulla pubblica amministrazione, sulle tasse: con provvedimenti forti di tagli alle spese, smaltendo i decreti attuativi che ingessano il nostro Paese e qualsiasi prospettiva di sviluppo. Ma accetti il richiamo al buon senso, il Parlamento non è un Mc Donald’s dove bisogna ingurgitare le riforme come fossero patatine fritte.

Se voteremo sì, non sarà perché “altrimenti Renzi ci asfalta”, come suggerisce qualcuno senza molto senso dell’onore.

Non si tratta di salvaguardare la nostra ghirba, ma di introdurre con tenacia il metodo della pacificazione. Non sottomissione al più forte, ma confronto sereno e severo sui contenuti.

Vogliamo essere convinti di fare il bene degli italiani nel merito, non perché tatticamente conviene e non c’è alternativa.

Ancora oggi il “Corriere della Sera” riporta questo giudizio di Michele Ainis, costituzionalista ed editorialista più di sinistra che di destra. Dice: “Morale della favola: urge trovare un equilibrio tra rappresentanza e governabilità. Per esempio: il combinato disposto tra Italicum e nuovo Senato permette al vincitore di mettere il cappello sul Quirinale. Non va bene…”.

Noi sommessamente ci riaffacciamo con la nostra proposta detta uovo di Colombo. E ci si scuseranno le tecnicalità, ma qui ci vogliono per smontare rifiuti pretestuosi e durissimi.

  1. 1.    Sull’obiezione che l’emendamento equivalga a una costituzionalizzazione delle preferenze.

L’obiezione sul piano tecnico-costituzionale non ha alcun fondamento. L’emendamento non prefigura una soluzione obbligata, ma stabilisce un principio, perfettamente compatibile con la Costituzione.

Il testo infatti si riferisce ai consiglieri regionali che abbiano:

“…il maggior consenso personale ovvero secondo altro criterio idoneo ad  assicurare  che l’individuazione dei senatori discenda comunque direttamente dalla scelta elettorale dei cittadini della regione”.

L’obiettivo di ordinare gli eletti in base al consenso ottenuto è raggiungibile con tutti i sistemi elettorali:

con le preferenze;  con i collegi uninominali calcolando la percentuale di consenso relativo in collegio rispetto ai votanti (era il modello Mattarellum per il  Senato per assegnare i seggi regionali in soprannumero rispetto ai collegi uninominali); con le liste bloccate stabilendo che l’ordine da seguire sia quello della lista; con il listino regionale stabilendo alternativamente che o si pesca tra i componenti del listino in ordine di lista, o si pesca tra i consiglieri che corrono con le preferenze (è una scelta politica, chi aspira a fare il senatore si candida o da un lato o dall’altro).

  1. 2.    Non vi è nulla di incostituzionale nello stabilire il principio per cui i consiglieri che siano anche senatori debbono scaturire dal voto degli elettori e non da scelte successive dei consigli regionali.

Per favore, caro Renzi, non dica un “durissimo no” al buon senso.

E magari il Capo dello Stato dica una parola sul rischio altrimenti del regime di Telemaco, che non  pare fosse né tanto né poco democratico.