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SENATO. La questione urgentissima è l’economia. Già domani sera sapremo se e quanto peserà la manovra che ci imporrà l’Europa. Intanto resta la domanda: riuscirà Renzi a pagare i debiti alle imprese per il 21 settembre come promesso? Per riuscirci deve quadrare il cerchio: mission impossible

 

Senato deserto manovra - Nonleggerlo

Con ogni probabilità sarà il diverso timing a regolare la partita. Economia e riforme istituzionali hanno entrambe bisogno di tempo. La prima per riprendersi, le seconde per compiere il loro lungo tragitto legislativo. Se vi sarà una convergenza di obiettivi, la strada sarà in discesa: ad una ripresa dell’economia corrisponderà un più intenso lavoro parlamentare. Ma se la situazione economica e finanziaria dovesse peggiorare, il rischio di un corto circuito appare essere la soluzione più probabile.

Nella storia costituzionale italiana vi furono due distinti momenti. La prima parte della Costituzione del 1948 fu approvata in un clima di unità nazionale, segnata dalla presenza diretta del PCI nell’Esecutivo. Lo stesso Palmiro Togliatti – cosa da non dimenticare – era Ministro di Grazia e giustizia. Poi vi fu il famoso viaggio di Alcide De Gasperi negli Stati Uniti, che mise fine a quell’esperienza. L’approvazione della seconda parte della Costituzione avvenne in un clima diverso: segnato dalla contrapposizione tra le principali forze politiche. Clima che si riflesse, con la sua inevitabile complessa mediazione, sul contenuto legislativo e programmatico della nostra Carta fondamentale. Questo lontano ricordo rappresenta un precedente di cui occorre tener conto per valutare i possibili sbocchi della situazione attuale. In questo caso, le scadenze sono ancor più ravvicinate ed i tempi si sovrappongono e contraddicono. Partiamo dalla riforma del Senato. Verrà alla luce in prima lettura, se i contrasti interni alla maggioranza ed alle altre forze politiche saranno risolti, entro il mese di luglio.

Alla Camera la discussione inizierà con la ripresa autunnale. Poi dovranno passare altri tre mesi per la seconda lettura. Se tutto andrà bene, avremo la riforma nella prima metà del prossimo anno. Tempi lunghissimi rispetto all’accelerazione indotta dall’evoluzione della situazione economica e finanziaria.

Il primo scoglio è di questi giorni. La corsa ad ostacoli comincia oggi con la riunione dell’Eurogruppo. Domani, poi, vi saranno le decisioni di Ecofin. E già, in serata, si saprà se l’Italia è stata graziata. Se le proposte della Commissione europea, formalizzate nel Coreper (la riunione tecnica dei rappresentanti di tutti i Paesi), saranno fatte proprie dai Ministri dell’economia, convenuti a Bruxelles. Il documento tecnico predisposto propone di non accogliere la richiesta italiana di rinviare al 2016 il pareggio di bilancio. Ma di anticiparla di un anno e quindi predisporre fin da ora i necessari interventi per realizzare un obbiettivo, che non è facile perseguire. Dalle conclusioni di Ecofin si vedrà pertanto se sarà necessaria una manovra correttiva e si potranno fare ipotesi più meditate sulla relativa consistenza. Il Ministro dell’economia Pier Carlo Padoan giura che tutto ciò non sarà necessario. Che l’Italia rispetterà il tetto del 3 per cento. Puntando evidentemente su quel margine dello 0,4 per cento, che la stessa Commissione europea – avendo previsto un deficit nominale pari al 2,6 per cento – riconosce all’Italia. Il problema è capire se quei 5 o 6 miliardi saranno sufficienti. Naturalmente non poteva fare altrimenti. La partita Ecofin è tutta da giocare. Quindi meglio presentarsi se non proprio da una posizione di forza, almeno cercando di rassicurare partner fin troppo sospettosi.

Basterà? Se sul fronte del deficit nominale un qualche margine esiste, quando si discute di deficit strutturale le cose, purtroppo, sono ben diverse. Già nel 2014, secondo i calcoli della Commissione, l’Italia non rispetterà l’obiettivo di medio termine.

Vale a dire un deficit strutturale compreso tra 0 e meno 0,5 per cento del PIL. Rispetto all’anno passato, inoltre, quest’ultimo non è stato ridotto, secondo la prescrizione dei Trattati, al fine di contribuire al contenimento del debito pubblico. Che, invece, è aumentato oltre ogni pessimistica previsione.

Nel DEF si prevedeva un debito, che a fine anno avrebbe raggiunto i 2.140 miliardi di euro. Questo traguardo è stato già toccato nel mese di maggio. Dal conto, mancano inoltre i pagamenti che Matteo Renzi – scadenza fine settembre – si era impegnato a effettuare a vantaggio delle imprese italiane che vantano miliardi di crediti nei confronti della Pubblica amministrazione. Il Governo si trova pertanto stretto in una morsa. Se onorerà l’impegno, il debito pubblico crescerà in modo corrispondente. Se non lo farà perderà la faccia non solo in Italia, ma nella stessa Europa che ha già avviato una procedura d’infrazione per i ritardati pagamenti.

Se si mettono in fila tutte queste cose, si può vedere come la discussione sulle sorti gloriose del Senato della Repubblica italiana rischia di trasformarsi in un’esercitazione retorica. Che sfuggirà a questo triste epilogo solo se, nel frattempo, il Governo sarà stato in grado di far quadrare il cerchio di una sempre più difficile situazione economica e finanziaria.