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GOVERNO. Se il Brasile piange l’Italia non ride. L’Europa boccia sonoramente Renzi. I giornaloni nascondono la Caporetto di Renzi-Padoan, ma la proposta di rinviare il pareggio di bilancio al 2016 è stata rimandata al mittente

 

 ELEZIONI: NELLA TANA DEL ROTTAMATORE ORA C'E' CAUTELA E RIFLESSIONE

 

Purtroppo l’avevamo previsto. Avevamo visto i pericoli e le insidie che si nascondevano nel confronto europeo, vissuto dal Governo italiano con una leggerezza estrema. Altro che “cambiare verso” all’Europa. Se qualcosa deve cambiare – e deve necessariamente cambiare – questa è la politica di Matteo Renzi e del suo Ministro per l’economia Pier Carlo Padoan. A meno che non si voglia tentare l’avventura di una nuova procedura d’infrazione in un momento fin troppo caldo della situazione internazionale. Dove non sono solo le preoccupazioni di carattere economico a dominare. Si pensi solo alle nuove tensioni in Medio Oriente.

Nella riunione dell’Ecofin, presieduta dallo stesso Ministro per l’Economia, la richiesta avanzata dall’Italia lo scorso 16 aprile, in cui si chiedeva di rinviare al 2016 il pareggio di bilancio, è stata sonoramente bocciata. Non solo sono prevalse considerazioni della Commissione europea, presieduta da Siim Kallas, già palesemente contrarie. Ma la dose è stata rincarata. Rispetto al testo originario è stato aggiunto un piccolo inciso, pesante tuttavia come una pietra: nel 2015 si dovrà procedere in direzione dell’obiettivo di medio termine. Vale a dire correggere, almeno dello 0,5 per cento del PIL, il deficit strutturale, che secondo i calcoli della Commissione (0,7 per cento del PIL) è ancora fuori linea. Il che da solo vale una manovra di 15 miliardi, senza contare che, a seguito della maggiore caduta del PIL rispetto alle previsioni iniziali, tasse e contributi sociali andranno peggio del previsto.

Il riferimento ai calcoli della Commissione è puro veleno. Le previsioni del MEF sono infatti ben più ottimistiche. Esiste pertanto il sospetto di una sorta di accomodamento preventivo: rischio che l’Europa, dopo la brutta esperienza greca, che taroccò i conti per occultare lo stato latente di crisi, non vuole correre. Si deve aggiungere che in Italia – altro richiamo di Ecofin – l’organo indipendente, rappresentato dell’Ufficio parlamentare del bilancio, è partito tardi ed – aggiungiamo noi – male. Frutto di un attento dosaggio spartitorio tra le varie correnti del PD, che lo rendono, di fatto, una dependance del Governo in carica.

Che i cattivi pensieri della Commissione prima e di Ecofin dopo abbiano un qualche fondamento è dimostrato da come i giornali italiani – alla faccia di un minimo di professionalità – hanno trattato l’intera vicenda. Sul contenuto effettivo dei documenti approvati nessun accenno. Grande attenzione invece al chiacchiericcio ed alle frasi di circostanza, che faranno anche più effetto, ma sono solo polvere e rumore di fondo. Svanirà quando gli italiani dovranno fare i conti, subito dopo le vacanze, con l’incubo di una nuova manovra correttiva, di cui è impossibile oggi certificarne l’esatta dimensione. Ma che comunque – ecco il distillato vero della Caporetto brussellese – incombe sullo sfondo.

Poteva andare diversamente? Con una pazienza ormai certosina, ancora una volta, Ecofin ha indicato le riforme che devono essere portate avanti. Sono sempre le stesse da quando l’Italia, sotto il Governo Letta, è uscita dalla procedura d’infrazione. Quella del Senato non è nemmeno menzionata, come non si parla di legge elettorale. Mentre per la riforma del Titolo V della Costituzione si accenna solo – raccomandazione numero 3 – alla necessità di “precisare le competenze a tutti i livelli di governo”. Insomma è evidente l’asimmetria tra il programma di governo di Renzi e quel minimo di accortezze che avrebbero consentito all’Italia una giustificazione più credibile per motivare un allentamento dei vincoli finanziari. Schröder docet.

Di fronte a questa suggestione, Matteo Renzi ha risposto dal par suo, dicendo che non deve essere l’Europa a fissare le priorità del suo governo. Discorso ineccepibile se si ha la forza per respingere eventuali ultimati. Ma quelle riforme vanno fatte a prescindere, come direbbe il grande Totò. Sono un’esigenza reale e condivisibile. Quindi inutile fare la voce grossa soprattutto quando si è seduti su una montagna di debiti che le politiche economiche, a causa dei loro limiti intrinseci, riescono a gestire solo con crescenti difficoltà.