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EUROPA. Altro che Telemaco, qui Itaca brucia. Draghi dà ragione a noi e torto a Renzi: la flessibilità c’è già, sono necessarie riforme strutturali shock. E tanti cominciano a temere che arrivino i commissari e si debba procedere a una manovra lacrime e sangue

 

 

Renzi

Una vecchia filastrocca che si cantava da bambini diceva: “se prima ero solo a cantare mapimmapò, adesso siamo in due a cantare mapimmapò” e via così.

Nel frattempo il coro cresceva con l’ingresso di nuovi cantori. Reminiscenze di un’Italia povera, distrutta dalla guerra e tradita dalle sue principali classi dirigenti, ma con un’immensa voglia di riscatto e di emancipazione. Merce oggi introvabile.

Eppure qualcosa inizia a muoversi. Eravamo da soli a predicare nel deserto riforme pro market, che accoglievano i rilievi della Commissione europea, cui dare la precedenza nell’agenda governativa. Oggi, finalmente si potrebbe dire che qualcosa comincia a muoversi.

Il “Corriere della Sera”, dopo un primo atteggiamento “quieta non movere et mota quietare” ha riscoperto una vocazione critica che dovrebbe essere la via maestra di una sua più antica tradizione. I dubbi sono aumentati non solo grazie al contributo delle firme degli intellettuali esterni, come Panebianco o Galli della Loggia.

Ora anche Massimo Franco, nella sua nota redazionale che esprime la linea del giornale, parla di “incertezza economica” delle pressioni che provengono non solo dall’Europa, ma dallo stesso Fondo monetario internazionale per “rendere più efficiente la giustizia civile” e “fare le riforme strutturali che frenano la produzione”.

Leggasi Jobs Act e revisione dell’articolo 18 dello Statuto dei diritti dei lavoratori. Ne prendiamo nota con un pizzico di soddisfazione. Siamo consapevoli di essere un piccolo gruppo che è stato, tuttavia, capace di mantenere viva una fiammella non conformista in grado di resistere ad un’ipnosi collettiva. Il che ha consentito alla stessa Forza Italia di trovare una posizione unanime nella critica alla politica economica seguita da Matteo Renzi.

Che quelle riflessioni fossero giuste ed in linea con quanto avveniva al di fuori dei nostri confini, lo dimostra l’ultimo intervento di Mario Draghi all’Europarlamento. La parola d’ordine riecheggia quanto da tempo stiamo dicendo. “Le regole di bilancio non vanno annacquate con troppa flessibilità: per la crescita servono riforme strutturali”. Interventi capaci di incidere sia sulla domanda che sull’offerta, per aumentare i consumi interni, ma in un ambiente reso competitivo dalla contestuale crescita della produttività.

Scindere questi due momenti significa solo imporre ad un Paese stremato come l’Italia una funzione di piccola locomotiva che farebbe solo il gioco dei nostri partner commerciali, favorendo le loro esportazioni. Ai Keynesiani immaginari che parlano di stimoli in deficit per l’economia nazionale rispondiamo che quelle ricette le dobbiamo applicare soprattutto all’Eurozona nel suo complesso.

E’ stato un errore da parte di Matteo Renzi rinchiudersi nel mito di Telemaco. Parlare in Europa come se fosse una semplice appendice di un discorso tutto interno, all’insegna della cosiddetta “rottamazione”.

Avremmo voluto sentire parole nuove sulla natura dei Trattati che devono applicarsi a tutti e non solo a taluni. Soprattutto a chi, come la Germania, è la principale responsabile, con il suo enorme attivo delle partite correnti della bilancia dei pagamenti, del gelo deflazionistico che percorre le principali capitali europee.

Aver esattamente compreso la grande lezione di Keynes significa oggi battersi affinché quelle politiche siano sviluppate nel contesto che gli è proprio. Che non può essere l’asfittica dimensione dei singoli Paesi, ma quella di un’area monetaria integrata che non riesce, a causa anche di quelle mancanze, ad essere “ottimale”.

Condividiamo, pertanto, le preoccupazioni di Mario Draghi. Un euro troppo forte, a causa delle resistenze che provengono soprattutto dalla Bundesbank, è una palla al piede per la crescita. Occorre premere affinché il cambiamento delle politiche avvenga dove è giusto e necessario.

Ed accompagnare il tutto con la realizzazione di quelle riforme che non sono una concessione all’ortodossia, ma una necessità imprescindibile per la nostra economia e la nostra società. Senza quest’atto di coraggio esiste solo l’ulteriore degrado.

Quell’aumentare continuo del disagio sociale e della povertà che non può essere lenito dall’ulteriore estensione del welfare fin troppo esteso, per il semplice fatto che mancano le risorse per attuare una simile politica. Il rischio di un corto circuito è quindi evidente.

Solo questione di tempo. Occorre pertanto agire nella giusta direzione, cambiando quel che si deve cambiare. #matteohurryup (sbrigati) ha scritto recentemente l’Economist in uno specifico hashtag. Lo sottoscriviamo volentieri. Se il miracolo si compirà, saremo tra i primi a sostenerlo.