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ECONOMIA. I conti pubblici italiani? Un film dell’orrore. Occhio a pensioni, conti correnti e titoli di Stato

 

 

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Con grande senso di responsabilità, Renato Brunetta, a nome dell’intero gruppo parlamentare di Forza Italia, aveva chiesto a Matteo Renzi di avviare una comune riflessione sullo stato dell’economia italiana e sui provvedimenti da prendere in vista dell’autunno. Si chiedeva un atto di coraggio e l’avvio di un’operazione verità che consentisse di fare il punto, per evitare lo stillicidio di notizie o, se si preferisce, di illazioni, sul reale stato dei conti pubblici per porre fine a quello stato d’incertezza che prende allo stomaco gli italiani. Impedisce loro di assumere una qualsiasi decisione, incidendo negativamente sulla stessa evoluzione congiunturale. Lo dimostrano gli scarsi risultati ottenuti dall’erogazione degli 80 euro in busta paga “per i lavoratori meno abbienti, servito a maggio giusto in tempo per le elezioni europee”: come osservò velenosamente l’Economist. Quella misura doveva rimettere in moto l’economia, via la crescita dei consumi in un momento di forte ristagno della domanda internazionale. Risultati talmente modesti, da apparire inesistenti.

Risposte, al momento, non ce ne sono state. Forse per uno sciopero improvviso degli addetti alle comunicazioni interne, come è avvenuto per gli orchestrali della  Bohème, a Caracalla, che hanno fatto saltare la rappresentazione, con sommo gaudio dei presenti. Molti venuti da Paesi lontani per assistere all’evento. Visti i possibili incidenti di percorso, rinnoviamo pertanto l’invito. Forza Italia è disponibile sia al confronto sia ad una valutazione congiunta delle necessarie misure da prendere, senza aspettare la fine dell’estate.

 

Quando tutto diverrà più difficile. E l’affanno prenderà, come sta avvenendo in Senato, inevitabilmente il sopravvento sulla necessaria lucidità. Con una conseguenza ancora più devastante. A Palazzo Madama si discute di cose importanti, come le riforme costituzionali, ma certamente più traslate rispetto alla quotidianità della vita reale. In autunno, invece, sarà la carne viva del Paese ad essere colpita da provvedimenti destinati, inevitabilmente, a lasciare il segno.

Speriamo, quindi, che Matteo Renzi, dopo tante insistenze, alla fine si conceda ed abbia la forza di resistere alla sindrome dell’assedio. Un simile atteggiamento eviterebbe l’insorgere di ulteriori inutili polemiche. Soprattutto distenderebbe gli animi e dispenserebbe il Vice-ministro Enrico Morando dai goffi tentativi di tranquillizzare gli animi, con smentite – circa possibili manovre finanziarie – che lasciano il tempo che trovano. Sono i numeri a contrastare l’ottimismo di maniera.

Numeri forniti dallo stesso ministero dell’Economia che evidentemente il Vice-ministro non conosce. Si dice che le entrate fiscali siano aumentate dell’1,1 per cento. Lo sappiamo. Ma sappiamo anche che dovevano aumentare del doppio (2,1 per cento) secondo le previsioni di bilancio. Gli spread – si aggiunge – sono in calo. Anche questo è vero, ma lo saranno anche nei mesi prossimi venturi? Nel frattempo, tuttavia, il debito pubblico, nei soli primi 5 mesi dell’anno, è cresciuto di 100 miliardi. Costo aggiuntivo stimato: 2 miliardi di maggiori interessi. Sono stati, adeguatamente, conteggiati?

La spending review doveva far risparmiare circa 4,5 miliardi. Non se ne vede traccia. Difficile dar torto a Francesco Giavazzi, quando su “Il Corriere della Sera” si interroga su “il mistero Cottarelli”: l’uomo dei tagli, che riesce a mala pena a farsi la barba. E poi le cosiddette spese emergenziali: dalla CIG al rifinanziamento delle missioni all’estero. Per non parlare degli 11 miliardi di presunte privatizzazioni, ferme al palo non si sa per quanto tempo. Di fronte all’affastellarsi di questi dati, l’unica strategia visibile di Palazzo Chigi è quella di creare, al proprio interno, un contraltare al ministero dell’Economia.

Soprattutto alla Ragioneria generale dello Stato: colpevole di non assecondare, fino in fondo, i desideri del principe. Ultimo episodio il prepensionamento degli insegnanti: l’onere sarà coperto immaginate come. Ma con la spending review, naturalmente. Quei tagli che sono da tempo latitanti.

Nelle condizioni date non è quindi facile sostenere il Governo, ma nemmeno fare opposizione. Come nel ‘68 si è costretti a ricorrere al vecchio slogan dell’immaginazione al potere. Pensare male per evitare di essere corresponsabili di scelte disastrose. Ed allora cerchiamo d’immaginare da quale pozzo saranno presi i soldi necessari per far fronte al disastro, che i dati che abbiamo indicato, lasciano intravvedere. Ci sarà un forte taglio delle pensioni? Vecchi da rottamare, secondo la filosofia di vita della nouvelle vague piddina. Non tanto un difficile ricalcolo, ma un taglio secco che prescinda dall’entità dei contributi versati nel corso di una vita spesa nel duro lavoro. Tentare l’altra strada farebbe, infatti, emergere il grande scandalo nazionale delle pensioni baby: i pochi soldi percepiti, accompagnati tuttavia da un’erogazione pluriennale a fronte dell’inconsistenza dei contributi versati. Meglio, quindi, sparare nel mucchio, lasciando poi alla Corte costituzionale il compito di cassare, come già avvenuto, una norma che più contraria all’ordinamento giuridico esistente non si può.

Saranno comunque pochi soldi: del tutto insufficienti per colmare le voragini di bilancio. Ed allora non resta che aggredire i depositi ed i conti correnti. Non gli interessi già tassati al 26 per cento. Non c’è più sostanza. L’imponibile è talmente basso – interessi vicino allo zero – da non dare reddito. Torna, in altri termini, l’incubo del ‘92: quella tassa, voluta da Giuliano Amato, che allora fu del 6 per mille sull’ammontare dei risparmi, che è passata alla storia come un grande crimine fiscale. Si dovrà poi aprire, inevitabilmente, il capitolo dei titoli di Stato: finora graziati dall’ulteriore imposizione. Vi sarà una patrimoniale? Un allungamento delle relative scadenze, imposto per legge? Una riduzione d’imperio del valore facciale dei titoli posseduti? Il FMI lo sta dicendo da tempo che il debito italiano è sempre meno sostenibile.

E’ un film dell’orrore quello che stiamo presentando. Ma non è colpa nostra. Avremmo preferito ragionare più distesamente sulle prospettive, non escludendo l’ipotesi di riaprire il capitolo: procedura d’infrazione. Ma dopo aver impostato quelle riforme che la Commissione europea, da troppo tempo, ci sollecita, e che non siamo stati capaci di realizzare. Matteo Renzi, come chiede la stampa più avvertita, dovrebbe “cambiare verso” alla sua politica. Noi siamo qui: in fiduciosa attesa.