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ECONOMIA. Conti pubblici: Renato Brunetta scrive al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Dal governo gestione caotica e nessuna chiarezza. Necessario correggere la rotta

 

 

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La risposta alla nostra lettera di qualche giorno fa al Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, si è materializzata sotto forma della destituzione di Carlo Cottarelli, mister forbice, com’è stato chiamato, per il suo incarico alla spending review. Nemmeno fosse un moderno Figaro.

Non inganni l’ipotesi di ventilate dimissioni: quasi si trattasse di un capriccio dell’economista venuto dagli States. Quando si giunge ad una simile decisione, significa che ogni cosa è stata consumata. Incontri andati a vuoto. Confronti tra persone che parlano linguaggi diversi.

La grande frustrazione di chi è in grado di vedere il baratro che una siepe sempre più sottile nasconde, anzi nascondeva, agli occhi dei più. Oggi, infatti, quell’iceberg contro il quale rischia di schiantarsi la finanza pubblica italiana è sotto gli occhi di tutti.

Non siamo più i soli a denunciare – come abbiamo fatto da tempo – le cattive sorti di una politica economica e finanziaria che definire azzardata sarebbe un eufemismo. I dati sono scritti sulle tavole di pietra degli stessi documenti governativi. Anzi, ci correggiamo, del ministero dell’Economia: perché non è detto che entrambi facciano parte dello stesso Governo. Lo saranno ancor meno quando Yoram Gutgeld, deputato di primo pelo, oltre che consigliere economico di Matteo Renzi, si siederà sulla poltrona dell’economista del FMI. Che tornerà in quel di Washington – stando almeno alle indiscrezioni – con l’incarico di direttore esecutivo per l’Italia. Chissà se in questo nuovo ruolo potrà svolgere quel ruolo che in patria gli è stato negato.

Matteo Renzi è sempre di più “l’uomo solo al comando”. La sua giovane esperienza lo porta ad ignorare alcuni capisaldi della storia italiana. Quando Alcide De Gasperi, nel 1948, vinse le elezioni, che estromisero dal governo i comunisti, le pressioni all’interno della DC divennero quasi insostenibili. I vari capi-corrente volevano dividersi le spoglie, invocando ministeri e sottosegretariati. L’opposizione del leader fu ferma ed irremovibile. I ministeri economici – quelli che in un’Italia distrutta dalla guerra dovevano garantire la ricostruzione – furono guidati da esponenti liberali, che dovevano assicurare innanzitutto la ripresa del Paese. Fu una politica dura, che ignorò grida di dolore e forme anche violente di protesta. Il risanamento finanziario fu imposto anche a costo di comprimere esigenze primarie.

Mentre gli aiuti, che provenivano dagli Stati Uniti, furono congelati, per ricostruire le riserve auree della Banca d’Italia. La disoccupazione, nonostante vi fosse un intero Paese da rimettere in piedi nelle sue infrastrutture fondamentali, raggiunse picchi inusitati. Ed a nulla valse il “piano del lavoro”, proposto da una CGIL riformista, in chiave keynesiana. Fu l’emigrazione la vera valvola di sfogo.

Anni difficili, come dicevamo. Ma anche l’incubazione che determinò il successivo “miracolo economico” ed il grande riscatto di una Nazione che aveva perso la guerra, ma che s’incamminava a divenire una grande potenza industriale, grazie al sacrificio del suo popolo. Matteo Renzi guarda, invece, a Dossetti e La Pira. Personaggi, indubbiamente, prestigiosi. Ma solo perché il lavoro duro ed impopolare era stato fatto da altri. Potevano, quindi, occuparsi dei grandi temi del momento. Pensare all’incontro storico tra cattolici e comunisti. In un clima garantito, come avrebbe successivamente candidamente detto Enrico Berlinguer, sotto l’ombrello protettivo della Nato.

Dovrebbe meditare su questi lontani episodi, per comprendere i limiti della sua politica. Il bluff può reggere, ma fino ad un certo punto. Alla fine c’è sempre qualcuno che dice “vedo”. Noi, quest’operazione verità l’abbiamo tentata in ogni modo. Abbiamo analizzato con cura i mille dati che provengono dalle istituzioni: sia da quelle italiane, che estere. Riportato i commenti dei principali osservatori, non solo nazionali. Non abbiamo aggiunto una virgola a quel che circola nel grande mondo dell’informazione. Visto ciò che tutti possono vedere. Ed alla fine, messi in fila tutti gli elementi, abbiamo chiesto udienza per un confronto sereno, fuori dalle polemiche e dalla luce della ribalta. Risultato? L’indifferenza.

Pensavamo si trattasse solo di giovanile inesperienza, vista l’età ed i curricula – con la sola eccezione di un paio di ministri – dei membri di governo. Confessiamo la nostra ingenuità. Quei silenzi erano solo la derivata di una linea politica che mira a ripetere la scelta degli 80 euro in busta paga. Comprare un po’ più di consenso. Ieri erano i soli dipendenti, tradizionale serbatoio di voti del Pd. Oggi sono i professori che possono andare in pensione prima dei comuni mortali. Domani saranno altri.

Nel frattempo, tuttavia, come dice Carlo Cottarelli, le spese non coperte da adeguati stanziamenti sono aumentate di oltre 1,6 miliardi di euro. Dove vuole arrivare Matteo Renzi? Bruciare, in soli pochi mesi di attività, tutti i sacrifici imposti dalle dure manovre di contenimento? Spingersi oltre la soglia che determinerà una nuova procedura d’infrazione da parte dell’Europa? Mentre il debito pubblico galoppa a ritmi impressionati?

Dobbiamo fermare questa deriva, prima che sia troppo tardi. Ci siamo, pertanto, rivolti al Presidente della Repubblica, affinché intervenga, nell’esercizio del suo Alto magistero. Che torni ad essere il custode dell’articolo 81 della Costituzione. Ed eserciti la sua funzione. Speriamo che, almeno questa volta, vi sia una risposta chiara e netta.